Leao, lo "spaccaMilan" alla prova di re Ancelotti

Ormai Rafa non divide più solo i tifosi ma anche i grandi ex. Ibra e club con Fonseca. E domani c'è il Real Madrid

Leao, lo "spaccaMilan" alla prova di re Ancelotti
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Che lo voglia o no - e l'interessato non sembra volerlo - Rafa Leao è diventato uno spaccaMilan. Nel senso che ha diviso innanzitutto il popolo dei tifosi, schierati come guelfi e ghibellini, tra chi lo considera una preziosa gemma calcistica e quindi non da umiliare in panchina e chi invece sostiene che il metodo forte utilizzato da Fonseca è l'unico in grado di educare il portoghese, abituato a coccole e protezione e quindi impossibilitato a crescere. E fin qui niente di catastrofico. È accaduto persino con Gianni Rivera, nella storia ultra centenaria del club, figuriamoci se è il caso di meravigliarsi con Leao. Ma Rafa ha cominciato adesso a dividere anche i suoi stessi estimatori, gli addetti ai lavori, quelli più vicini per storia personale, al Milan. Ad esempio Billy Costacurta («Leao è questo da 5 anni, non è un campione e penso che non lo diventerà mai»), oppure Fabio Capello che in un colloquio televisivo con Ibra gli rivolse un quesito interessante («perché non lo mettete a tirare in porta come feci io con te ai tempi della Juve?»). Proprio a Monza le due sgommate di Leao sono state concluse con due tiri inguardabili. Persino a livello di critica siamo dinanzi a identica divisione para-ideologica. C'è chi considera una sorta di sacrilegio la terza panchina consecutiva col Monza in campionato e chi invece si avventura in un pronostico impegnativo («Daniel Maldini può diventare più forte di Leao», Paolo Condò, Skysport).

Anche all'interno di Milanello c'è il forte sospetto che, inevitabilmente, stia nascendo un altro, alternativo nucleo centrale del Milan, diverso da quello precedente (stagione dello scudetto, ndr) costituito da Theo e Leao, e rappresentato dai nuovi pilastri Pulisic, Fofana, Reijnders e lo stesso Morata, citato da esempio proprio da Fonseca come emblema dello spirito di sacrificio.

«Lo status non gioca» ripete Fonseca dinanzi alle domande insidiose del dopo Monza per far capire che lui non arretra sulla questione. Poi il tecnico portoghese banalizza il tema definendo «normale considerare Leao come Musah e Loftus Cheek» e deve anche scontrarsi con uno dei suoi più fidati, Fofana, il quale a Monza ha declinato una verità incontrovertibile («non è stato un buon Milan»). «Vedo una squadra che gioca bene» continua a ripetere Fonseca così facendo montare il dissenso intestino. La verità di fondo è che il Milan, da lui assemblato, continua a essere una squadra squilibrata che non cura con identica attenzione la fase difensiva rispetto a quella offensiva come testimoniano i pericoli corsi (parati tutti da Maignan) contro il Monza. In questo scenario ci sono una certezza e una previsione. La certezza che sulla gestione di Leao, Fonseca ha l'appoggio del club come testimonia il lungo e fitto colloquio con Ibra (a proposito: unico rappresentante a Monza, assenti Scaroni e Furlani nonostante l'invito a cena di Galliani; ndr), entrambi seduti in panchina, prima dell'inizio della partita.

La previsione è che a Madrid Leao possa tornare titolare anche per metterlo dinanzi alla sfida suggestiva con Vinicius, il brasiliano arrivato secondo al Pallone d'oro, classifica nella quale non c'è traccia alcuna di Rafa.

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