Come diceva un grande poeta è difficile essere ingiusti con chi si ama. Vedere Lebron Raymond James spodestare Kareem Abdul Jabbar, che lo applaudiva nel Tiger Center angelino, diventando con 38.389 punti il miglior realizzatore nel grande circo della lega cestistica NBA del basket, ci ha fatto pensare che è difficile amare il protagonista anche se la tua squadra ha perso la partita. L'avranno vista così anche i tifosi dei Lakers, anche quelli che hanno pagato 100mila dollari il biglietto di prima fila, nella notte dove il bambino d'oro di Akron, il Prescelto, ha superato di 2 punti con uno dei suoi tiri in sospensione, incubo di ogni difesa, il record di Jabbar (nella foto con lui, ndr) che resisteva da 40 anni. Commozione, grande festa, l'abbraccio con il mito non proprio amato a bordo campo, ma intanto gli Oklaoma City Thunder vincendo in trasferta 130 a 133 tenevano lontano i mitici Lakers anche dai velenosi scontri per trovare almeno i play off alla vigilia della partita per le stelle che la stessa NBA, ringraziata dal campione, vorrebbe abolire per cercare altre strade agonistiche.
Viva Lebron, 5 titoli NBA, fra Miami, Cleveland e la stessa Los Angeles, 2 ori olimpici, premi di ogni genere anche se noi siamo sempre stregati dal gancio cielo del Karim che trovammo meraviglioso anche quando venne a Milano, a trovare Percudani, uno dei suoi maestri che allenava al'All'Onestà, quando era ancora Lew Alcindor, nella palestra della Social Osa prima di avventurarsi nel grande basket mangiando pizze gigantesche come se fossero pasticcini. Gloria al campione miliardario di Akron che vorrebbe andare avanti nella carriera anche alla soglia dei 40 anni aspettando che uno dei suoi figli lo raggiunga nel mondo dorato dove lui entrò, da matricola, con un contratto per le scarpe che indossava da 90 milioni di dollari arrivato oggi, con le stesse scarpe ad oltre un miliardo.
Una storia meravigliosa, se si contassero anche i punti nei play off che la NBA non tiene in considerazione, sarebbe da tempo già il miglior marcatore nella battaglia fra i più grandi di sempre con Michael Jordan, con tutti quelli che abbiamo amato prima di lui, da Bird a Magic Johnson che spesso, guardandolo giocare con i suoi Lakers, lo ha applaudito, ma forse mai amato. Anche nel giorno del grande record, partita fermata, brindisi sul campo, abbraccio a Karim, qualcuno, come il mastino di Boston, il turco Kanter, uno che combatte per la vita da apolide dopo l'anatema del suo primo ministro ad Istanbul, ha detto che bisognerebbe guardare certe cifre in un altro modo.
Lui che guarda lontano, sicuro che un giorno da bambino dorato di Akron, cresciuto soltanto dalla madre Gloria, visto che del padre non si hanno tracce, potrebbe diventare il sindaco nella città dell'Ohio, lui che negli affari è davvero un mago da bilanci milionari, sogna forse più in grande e, magari, vorrebbe essere il presidente degli Stati Uniti, il secondo afroamericano dopo Obama. Meraviglie sul campo, ogni attacco una sentenza, anche adesso che con le sue magie non riesce a riportare i grandi Los Angeles Lakers fuori dalla mediocrità, tredicesimi nella bolgia dell'Ovest dove Denver guida con 13 vittorie in più.
Non importa. Il prescelto riesce sempre ad elettrizzare la platea e quando lo vedi giocare in quella fiesta mobile che è il campionato NBA, il più visto nel mondo, benedici il momento della sua nascita in uno sport dove la squadra, ormai da troppo tempo, è al servizio dei fenomeni che riempiono le arene, fanno sognare i bambini, rendono folli gli adulti che per vederlo battere un record e stare in prima fila non si spaventano se il posto richiesto costa così tanto.
Lo abbiamo amato per le sue imprese a Miami, Cleveland e per l'unico titolo conquistato a Los Angeles, ma da maledetti romantici, come nei giorni della squadra dei sogni che la NBA regalò alle Olimpiadi di Barcellona, lo abbiamo venerato per come ha illuminato le finali olimpiche di Pechino nel 2008 e quelle londinesi 4 anni dopo, per i suoi tiri in sospensione che gli hanno dato anche un titolo mondiale fra i terrestri, lui che in carriera è partito addirittura come regista, passando poi a meraviglia fra le guardie, come fenomeno da ala piccola e ala grande, un 2 metri e 6 che faceva sembrare etti i suoi 113 chili. Bravo in cinque ruoli.
Un fenomeno, uno che resterà per sempre nella storia del gioco che il canadese dellOntario, il dottor Naismith, inventò per rendere meno monotona la vita dei ragazzi che sognavano la gloria nel durissimo football americano o nella ginnastica, dando le 13 regole che gli ricordavano un gioco infantile, l'anatra su una roccia, e Lebron James quel sasso lo ha tirato bene in una carriera meravigliosa iniziata all'inizio di questo secolo, prima scelta nel 2003 a Cleveland, 28 punti all'esordio contro Sacramento.
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