L'Italia in astinenza di oro chiede il miracolo a Nibali

L'Italia in astinenza di oro chiede il miracolo a Nibali

nostro inviato a Firenze

Italians do it better: forse in quel settore ginnico, non in bicicletta. I Mondiali di Firenze, sui quali il sindaco ovunque Matteo Renzi ha messo il cappello nella speranza di farne anche un personale successo, si avviano a conclusione con una malinconica cifra nel nostro medagliere, una cifra che sa di nulla e di vuoto: zero oro. Solo una magrissima consolazione l'unico bronzo della giovane Ratto. Giovani e giovanissimi, uomini e donne, in linea e a cronometro: si corre da una settimana e non si è mai sentito l'inno del Paese organizzatore. Ci resta un solo colpo in canna, il più importante, l'unico in grado di salvare l'intera avventura: la gara dei professionisti, la gara dei campioni.
Purtroppo, si tratta di missione impossibile, né più, né meno. Troppo forte la concorrenza, troppo fragile e indecifrabile la nostra truppa. Tutti sperano in Nibali, ma è una mezza cattiveria, nei suoi confronti: lo si carica di aspettative contro natura, perché lui è campione dei grandi giri, non della corsa secca. Per vincere deve arrivare da solo, non è verosimile immaginarlo così brutale da scrollarsi di dosso i Cancellara, i Gilbert, i Sagan, i Valverde. Può succedere, ma saremmo direttamente nel campo dei miracoli. Così come lo saremmo - anzi, di più - nel caso di un trionfo con Pozzato, o Paolini, o Scarponi, o Ulissi, cioè delle altre punte della nazionale tutta punte - nazionale porcospino - disegnata dal ct Bettini.
Serve un miracolo, niente di diverso e niente di meno. Bettini darebbe qualunque cosa per centrare almeno una medaglia, dopo averle sistematicamente mancate nel suo grigio quadriennio di sconfitte. Per la corsa di oggi, l'ultima prima del suo addio - sarà dimissionario o dimissionato, cambia poco -, il ct prova la carta della disperazione: nazionale porcospino, tutti all'attacco e senza tregua. Sarà un'Italia minacciosa, arrabbiata, imprevedibile. A parole. Alla vigilia. Poi la realtà è tutta da vedere. Siamo pur sempre quelli che non vincono una corsa in linea dal 2008 (Cunego, Lombardia: fanno cinque anni, un'era geologica). Un motivo ci sarà. Un motivo c'è. Questo, molto semplice: gli altri sono nettamente più forti.
Siamo talmente alla canna del gas da accogliere come assetati sahariani la previsione di grande pioggia. Bene, dicono in casa Italia: lungo la discesa di Fiesole, dove c'è da rischiare l'osso del collo sul bagnato, Nibali può staccarli tutti. E va bene, proviamoci pure con la danza della pioggia. Proviamo con i riti voodoo, con le macumbe. Purchè serva, purchè porti a qualcosa. Però attenzione: se Nibali indubbiamente è spericolatissimo in discesa, gli altri non sono impediti.
Nelle ultime ore di vigilia, grandi consultazioni e lunghe riunioni tecniche nel ritiro di Montecatini. Se la montagna di chiacchiere e di strategie partorirà l'agognata medaglia o il miserrimo topolino, lo capiremo tutti al termine di sette, lunghissime, eterne ore di gara. Spesso troppe macerazioni portano solo alla confusione mentale. Ma se non altro il ritiro è alle spalle. Oggi è il giorno degli esami e delle sentenze: più del posto, che lascerà, Bettini rischia di passare alla storia come patetico ct smedagliato, dopo le epopee dorate di Martini e di Ballerini. Per il domani già si fanno i primi nomi, il più gettonato quello dell'ennesimo toscano, Michele Bartoli.

Ma prima di qualunque programma e di qualunque discorso, bisogna occuparsi urgentemente di questa missione superiore: cancellare quel tremendo zero dal medagliere, per di più nel Mondiale di casa. Bisogna saper perdere, questo è vero e sacrosanto: ma ormai abbiamo imparato benissimo. Il problema è che ogni tanto bisogna anche saper vincere. Almeno una volta ogni cinque anni, non è una pretesa astrusa.

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