Ora che una città intera sta sfidando la scaramanzia - dal sindaco Manfredi che pensa alla location per la festa ai venditori ambulanti che espongono già sulle loro bancarelle bandiere celebrative del terzo tricolore - il Napoli inizia il countdown verso il sogno atteso da 33 anni. Otto sono le vittorie che servono per mettere le mani sullo scudetto. Basterebbe dunque vincere tutte le gare in casa, a iniziare da quella di oggi con la Lazio dell'ex Sarri, colui che arrivò a sfiorare per ultimo il titolo in casa partenopea - perso in hotel prima che in campo - cinque anni fa quando però gli azzurri erano inseguitori e non lepre. Senza considerare, poi, che al «Maradona» arriveranno anche il Milan il 2 aprile (a giochi non ancora chiusi) e l'Inter il 21 maggio, quando la pratica dovrebbe già essere archiviata.
«Non date retta a chi vuole farci togliere le mani dal volante, farcele alzare in segno di vittoria quando abbiamo tante curve da affrontare», così Spalletti che getta acqua sul fuoco dell'entusiasmo. Ma più che il vantaggio di 18 punti in classifica, mai così ampio per una capolista di serie A a questo punto del torneo, «rassicura» l'andamento incostante delle inseguitrici, in primis dell'Inter che è l'unica ad aver fermato il Napoli in questa stagione. Il sogno, quasi impossibile da realizzare, sarebbe chiudere i conti a Lecce nel turno di Pasqua (29ª giornata), ovvero prima dei quarti di Champions - traguardo che Osimhen e compagni raggiungeranno fra 12 giorni, salvo clamorosi ribaltoni - per potersi concentrare sull'Europa. Più probabile stappare lo spumante il 30 aprile nel derby casalingo con la Salernitana o il 4 maggio a Udine. Di sicuro Spalletti potrebbe eguagliare o addirittura battere il record di un titolo conquistato con 5 turni di anticipo.
Alla Lazio il compito di tenere vivo il torneo, anche se a questo Napoli è diventato difficile non solo fare gol (Meret è imbattuto da 465 minuti e vanta 6 clean sheet su 9 gare di A del 2023, nessuna ha fatto meglio nei Top 5 tornei europei) ma anche solo fare un tiro. «Sarri è però un Masaniello del calcio, il capopopolo di una rivolta su come vedere questo sport - così il tecnico dei partenopei -. A casa guardavo tutte le sue partite e sui campi di Castelvolturno ci sono ancora i solchi sulle linee di passaggio dei giocatori che faceva lui. Siamo simili, ci piace andare in tuta...».
E mentre il suo Napoli si gusta una stagione con i fiocchi, il presidente De Laurentiis indica la strada per il futuro del calcio europeo: «Il sistema così com'è non funziona ed è morto. Si gioca troppo, i calciatori sono logori e in caso di infortuni gravi, diventano minusvalenze. Il mercato è sempre più esigente. E basta con le Coppe». L'idea non è però quella della Superlega: «Lo dissi ad Agnelli, perché la voleva fare per un gruppo di club che fossero un'élite.
Mettiamo dieci miliardi sul tavolo e facciamo un campionato europeo in cui non si fa l'estrazione con le palline. Le prime sei di un campionato importante o le prime di un campionato minore devono giocare contro tutte in gara secca. L'abbonato delle piattaforme vuole vedere un calcio nuovo».
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