Max, baby spericolato che la fa sempre franca in nome dello show

Il problema non è il pilota Red Bull, ma la F1 in crisi che non lo sanziona per creare spettacolo

Benny Casadei Lucchi

nostro inviato a Monza

Il problema della Formula uno non è Max Vestappen, ma la Formula uno. Da questa primavera, lo sport che fu dei cavalieri del rischio diventati nel tempo impiegati del rischio ha infatti deciso di cambiare di nuovo pelle. D'ora in poi si affiderà ai bambini viziati del rischio. Di cui il diciottenne olandese è cavia e prototipo al tempo stesso. Se si trattasse di un cambiamento naturale potremmo anche storcere il naso per certe intemperanze del ragazzo e intanto però accogliere favorevolmente il fenomeno. Però non lo è. Non c'è nulla di naturale in quanto sta accadendo. Peggio. C'è qualcosa di artificioso: la Fia che chiude un occhio sulle sue scorribande (qui a Monza solo un blando avvertimento). E di irrispettoso: il ragazzino della Red Bull paragonato dalla critica a mostri duri e puri della guida come Senna e Mansell e lo stesso Schumi che quando sbarcò nel Circus, con certe manovre, fece subito girare parecchio le scatole ad Ayrton.

La verità è che Max sta a gente come il mitico brasiliano e il grande tedesco come i sorpassi veri a quelli con le ali mobili. Perché si può avere talento, si può avere coraggio, si può osare, tentare, provare ma se lo si fa con il placet, la copertura, la protezione, la benevolenza degli arbitri, allora non va più bene. Diventa qualcosa di artificiale. Il problema della F1 non è Verstappen dopo la gara vendicativa in Belgio ai danni di Raikkonen («le Ferrari hanno rovinato la mia gara e io ho fatto di tutto per non cedergli la posizione»), ma chi governa il Circus che invece di rifilargli due sberle, come faceva papà Jos quando sbagliava sui kart, chiude un occhio anzi due perché questo fa show. In fondo è lo stesso approccio «innaturale» che negli ultimi anni ha animato certe regole come, appunto, le ali mobili, che consentono sorpassi a doppia velocità a chi sta dietro. Come se all'ultima vasca si mettessero dei piombi alle caviglie di Michael Phelps. Meglio puntellare lo show di uno sport morente consentendo a un bimbo viziato del rischio di creare pericoli, piuttosto che insegnargli che a 300 all'ora certe cose non si fanno. Giusto per citare dei grandi rudi e duri del passato, non esisteva alcun buonismo pro spettacolo per gente come Peterson, Scheckter, Mansell, Senna e lo stesso Schumi. Se peccavano, venivano puniti. Punto. Anche perché le manovre di Verstappen vanno spesso contro l'ABC di questo sport. «Da quando è arrivato in F1 ha fatto anche bei sorpassi, ma certe mosse, come quelle di spostarsi all'ultimo, ingannano chi è dietro e possono avere conseguenze drammatiche» ha spiegato alla «Gazzetta» Jean Alesi. «Bisogna richiamarlo. Su piste come Monza, facendo così, c'è il rischio di ammazzare qualcuno».

Ecco. In quell'«ammazzare qualcuno...» c'è tutta l'essenza degli errori che la F1 sta commettendo nel gestire il ragazzo. I Peterson, gli Scheckter, i Mansell erano duri cavalieri del rischio ma correvano rispettando l'ABC perché all'epoca l'ABC era la base della sopravvivenza.

Ora i progressi nella sicurezza fanno pensare che queste monoposto siano indistruttibili e che i piloti guidino delle playstation. Lo può pensare un diciottenne talentuoso e viziato come Max. Lo può pensare il pubblico. Non lo deve pensare chi governa questo sport.

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