La verità al traguardo, per una volta, è la stessa di quella alla partenza: lo sanno anche i sassi, Gilbert è il campione più forte del mondo, nelle corse di un giorno. Adesso è giustamente anche campione del mondo con maglia iridata, riconoscimento strappato con pieno diritto e massima prepotenza sullo strappo finale di Valkenburg, dove tutti sapevano avrebbe trovato il trampolino perfetto per le sue doti di letale finisseur. Ancora una volta, il Belgio si conferma una formidabile fabbrica di specialisti per le classiche, lasciando agli spagnoli dei tanti galli ( Valverde, Rodriguez, Contador, Freire) l'imbarazzante immagine di un pollaio con soli capponi (il bronzo di Valverde, dietro pure a Boasson Hagen, è una bruciante sconfitta, non una consolazione). Una corsa mortalmente noiosa fino a tre chilometri dal traguardo, sette ore di attesa per la bagarre sul mitico Cauberg, premia così il dominatore che sembrava aver perso proprio in questa travagliata stagione la sua spietata sparata finale. Invece, come racconta lui stesso, «mi sono ripreso al momento giusto, fino a correre la gara perfetta ». Può dirlo. Ormai l'ultimo chilometro di Gilbert sta diventando un pezzo artistico dello sport moderno, un must per amatori, come la punizione a giro di Pirlo o la staccata di Valentino. Inutile star qui a dire e a brigare: nessuno, al Mondiale di Valkenburg, sarebbe mai riuscito ad arginare un simile cataclisma.
Però c'è un però, che ci porta subito dritti alla penosa figuraccia di Casa Italia (migliore degli azzurri, il tredicesimo Gatto: è il caso di dichiarare lo stato di calamità e chiedere gli aiuti governativi).
Alla Giovine Italia di Bettini non si può certo imputare d'aver lasciato andare Gilbert a vincere in solitudine. Sarebbe ingiusto e molto cretino. Alla Giovine Italia però si potrebbe chiedere di perdere un po' meglio, magari di lottare per essere i migliori dei battuti, salendo comunque sul podio, almeno sfiorandolo, come l'onestissimo Boasson Hagen, per fare nomi ed esempi. Invece ancora una volta siamo qui a dirci che abbiamo «interpretato bene la corsa» (ma non è un film, dannazione), abbiamo «fatto tutto quello che andava fatto », abbiamo «provato nel finale, ma ci hanno troppo controllati».
La verità è che abbiamo corso davvero benissimo, ma per Gilbert: sullo strappo decisivo, i nostri hanno tirato come dannati per lanciare Nibali, il quale a sua volta s'è messo davanti, in apnea, perfetto al contropiede crudele dello specialista belga. Nessuno -è bene ripeterlo due o trecento volte - poteva pretendere che i nostri staccassero Gilbert, ma che almeno fossero più accorti e aspettassero gli scatti dei big per infilarsi nellescie giuste, data l'inferiorità in quel genere di finale, questo davvero lo si può e lo si deve pretendere.
Invece assistiamo ancora una volta ad un epilogo impietoso, lo stesso degli ultimi Mondiali, sempre così uguale a se stesso, semprecosì triste e umiliante: i nostri spariscono e gli altri ci passeggiano sopra.
Purtroppo, è in fotocopia anche il post-gara. Sembra che la nostra squadra abbia corso un'altro Mondiale. Sono soddisfatti. Nibali, dopo aver onestamente riconosciuto la straforza del vincitore, recrimina comunque con certi avversari che non l'avrebbero assecondato in occasione dei suoi (peraltro pallidissimi) tentativi. Gli altri hanno solo premura di dire d'aver compiuto fino in fondo il proprio dovere. Siamo il dream team dei tre quarti di gara, ultimamente: perfetti fino a un passo dal capolavoro, che però tocca inesorabilmente sempreagli altri. Lo stesso ct Bettini, con quella faccia un po' così di chi dice le cose che bisogna dire, senza condividerle troppo, parla di una squadra «con sei esordienti che ha fatto la sua parte e che secondo ordini di scuderia, a trenta chiolometri dal traguardo, si è parlata e ha deciso dipuntare tutto su Nibali, peccato sia andata così, ma abbiamo fatto esperienza e l'anno prossimo a Firenze sarà tutta un'altra storia». Allora, visto che non ci arrivano da soli, visto che proprio non si rendono conto, sarà bene fare il punto della situazione.
Quanto a Bettini, si conferma il ct meno vincente della storia azzurra, allungando la sua serie magica a tre Mondiali e un'Olimpiade senza nemmeno una medaglia di cartongesso (forse è il caso di porsi qualche domanda, dentro di sé e magari anche in Federazione).
A tutti gli altri, tocca ricordare che l'Italia della bicicletta non vince una corsa in linea (vera, degna di tale nome) da quattro anni esatti (ripetiamola, l'ultima data, ormai storica: Cunego, Giro di Lombardia 2008). Ecco, se nonostante questa recessione spaventosa loro pensano davvero di correre bei Mondiali, mettiamola semplicemente così: non basta, è troppo poco. Una miseria.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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