Qatar, dicembre 1978. Il sole sta tramontando nel deserto che circonda la municipalità di Madinat ash Shamal, un'ora a nord-est di Doha. L'area è depressa, da vent'anni è in atto un'emorragia di esseri umani che hanno lasciato la pesca di pesce e perle e scelto di trasferirsi nella capitale, dove prospera l'industria petrolifera. Due uomini, armati di macchina fotografica, passeggiano sul crinale di una duna spazzata dal vento in cerca della luce migliore per uno scatto originale. Sono Jorvan Vieira e Oswaldo de Oliveira, fanno parte di un contingente di circa trenta tra allenatori e preparatori atletici brasiliani ospiti della federazione locale. In quei momenti di svago, mentre camminano sulle dune che cantano, chiamate così per il suono prodotto dal vento che impatta sulla sabbia, Vieira e de Oliveira discutono del futuro del calcio qatarino. Sono scettici anche davanti ai progetti ambiziosi della famiglia Al-Thani, al potere da oltre cento anni e disposta a investire camionate di petroldollari nello sport più seguito del pianeta. Solo pochi mesi prima, con il trionfo dell'Argentina ai mondiali, la dittatura militare del generale Videla ha sfruttato il calcio per auto legittimarsi. Gli Al-Thani vogliono cogliere la palla al balzo: perché non puntare sul football per trovare uno sbocco alla loro immensa ricchezza e ottenere visibilità internazionale? Tuttavia nell'emirato manca tutto, dalle strutture alle conoscenze tecniche di base della disciplina. Lo sport più amato dai qatarini è la corsa dei cammelli contro la quale da anni si scagliano i media stranieri per l'utilizzo come fantini di bambini, anche di quattro-cinque anni. «Ci vorrà un miracolo per far attecchire il calcio da queste parti» fa de Oliveira a Vieira, che replica «non lo so, sicuramente ci vorrà molto tempo». Quarantaquattro anni dopo, al Qatar è stata assegnata, tra infinite polemiche, la ventiduesima edizione della FIFA World Cup e l'emiro Al-Thani ha investito qualcosa come 200 miliardi di dollari per sostenere lo sviluppo delle infrastrutture con l'obiettivo di trasformare i mondiali in un gigantesco spot promozionale del Paese.
In quattro decenni di carriera, De Oliveira e Vieira hanno girato il mondo, ottenendo riconoscimenti e apprezzamento quasi ovunque. Vieira ha guidato più di venti rappresentative nazionali e club in Africa settentrionale e nel Golfo Persico, aggiudicandosi l'Asian Cup del 2007 con l'Iraq in piena guerra. Un'impresa di cui ho scritto con Diego Mariottini in Il gol lo dedico a Bush (Castelvecchi editore), che non ha precedenti per le difficoltà umane e organizzative nelle quali fu ottenuta, iniziata ad Amman, dove la nazionale irachena svolse la preparazione all'Asian Cup per sfuggire alla guerra civile che stava imperversando in Iraq e dove oggi Vieira allena l'Al-Wehdat, uno dei club giordani più affermati, che quest'anno partecipa alla Champions League asiatica. Diventato musulmano nel 1991 («mi ha aiutato in seguito a capire meglio le realtà del mondo arabo in cui ho allenato»), Vieira è un uomo dal passato difficile e dal carattere scontroso: chi ha collaborato con lui lo definisce uno che non accetta compromessi. Non ha mai conosciuto il padre, un emigrato portoghese morto in Brasile a 29 anni per un violento calcio sulla testa durante una partita di pallone, pochi giorni dopo la sua nascita. Famoso per rilevare squadre in crisi e, spesso, traghettarle fuori dalle secche, il tecnico brasiliano ha allenato, in Paesi mediorientali come Qatar, Oman, Emirati Arabi e Iran. Pochi conoscono il calcio del Golfo meglio di lui.
«Chi lo avrebbe mai detto che un giorno la coppa del mondo si sarebbe disputata in uno stato mondo arabo? È evidente che un torneo così prestigioso possa dare una grande spinta al movimento calcistico in Medio Oriente e nel Golfo, dove i campionati di calcio sono ancora a un livello abbastanza amatoriale. Sono rimasto molto sorpreso quando ho saputo che la candidatura del Qatar era stata preferita a quella di Stati Uniti, Australia e Giappone. Cosa si dice in giro? Che ci sono forti sospetti di corruzione sull'assegnazione? Non mi esprimo a riguardo, ricordo simili sospetti ci furono anche sui Mondiali svoltisi in Sudafrica, Russia, Brasile e persino su quelli che si tennero in Germania. Le prove non sono però mai uscite fuori».
Hanno fatto una brutta fine personaggi, celebri e meno celebri, coinvolti nell'Operazione Qatar 2022. Mohammad Bin Hammam, figlio di un'infermiera di Doha, self-made man poi diventato costruttore e dirigente calcistico tra i più potenti del continente asiatico, è colui che ha assicurato all'emirato i voti dei rappresentanti della Confederazione africana di football. Ha subito, due radiazioni per corruzione e conflitto di interessi dall'Ethics Committee della FIFA. Oggi vive nell'oblio. Chuck Blazer, primo statunitense nel board della Fifa, talmente ricco da vivere in due appartamenti nella Trump Tower di New York, uno per sé, l'altro per i suoi gatti, è stato anch'egli interdetto a vita da ogni organo calcistico nazionale ed internazionale per il suo ruolo di faccendiere e corruttore nel Qatargate. Blazer ha scelto di collaborare con l'FBI, rivelando dettagli e circostanze su un sistema di assegnazioni dei mondiali finalizzato a illeciti e tangenti. Le sue ammissioni hanno portato all'arresto di diversi dirigenti FIFA.
«Preferisco parlare di football giocato rispetto a questioni politiche e interessi privati, sono un allenatore, non un politico» afferma Vieira. «I giornalisti mi fanno spesso domande sullo sfruttamento dei lavoratori stranieri nell'ambito della costruzione degli stadi e delle altre infrastrutture per i mondiali. È terribile, non conosco il numero delle vittime, ho letto che potrebbero essere molte (non esistono dati certi, risulta che oltre 6.000 lavoratori siano morti dal tra il 2010 e il 2020 in Qatar ndr). Il mio non vuole essere un commento assolutorio ma sono state registrate vittime sul lavoro anche in occasione di altri mondiali e alla cosa non venne dato lo stesso risalto». Incidenti mortali nella fase di costruzione degli impianti, si sono verificati, in quantità minori, anche prima dei mondiali in Sud Africa, Brasile e Russia. Furono 24 le vittime sul lavoro durante la realizzazione delle infrastrutture per Italia '90.
Gli chiedo se la nazionale qatariota sarà in grado di ripetere l'exploit dei russi che, da padroni di casa, nel 2018 giunsero ai quarti di finale. «Non accadrà, il Qatar ha una buona squadra e, come Paese organizzatore, godrà senza dubbio di vantaggi ambientali. Ha imparato molto dalle esperienze come ospite nella Copa America 2019 e nelle qualificazioni alla Coppa del Mondo (un anno fa, vittoria su Lussemburgo e Azerbaigian e pari con l'Irlanda ndr) ma non credo che andranno troppo lontano. Il loro unico obiettivo è quello di provare a passare la fase a gironi. Se tre anni fa hanno vinto l'Asian Cup, disputata a Doha, lo devono soprattutto al fatto che le nazionali asiatiche più forti, Giappone, Corea del Sud e Iran, erano in fase di transizione. Tenete d'occhio il capitano qatarino Hassan Al-Haidos, è un eccellente attaccante».
In Qatar fa molto caldo persino nei mesi autunnali e per venire incontro alle nazionali, gli emiri hanno fatto dotare gli stadi di bocchettoni a bordo campo e di ventole sotto i sedili che sparano aria fredda. Il Qatar è il Paese con la maggiore emissione pro-capite di gas serra. «Secondo alcuni le squadre del Sud America potrebbero risentire meno delle alte temperature rispetto alle avversarie, visto che da loro sarà quasi estate. Non sono d'accordo, la maggior parte dei giocatori delle nazionali sudamericane militano in club europei e incontreranno le stesse difficoltà di chi viene dall'emisfero settentrionale. Farà una bella figura chi giocherà per vincere, chi non metterà un pullman davanti alla linea porta per difendere e basta. Saranno penalizzati alcuni campionati più di altri. Un grande numero di atleti di diverse nazionalità proverrà dalla Premier League che avrà grossi problemi alla ripresa della stagione, verso la fine di dicembre. Le federazioni europee dovranno essere molto brave nello stilare i calendari». Problema che purtroppo l'Italia non avrà.
Saranno anche i primi mondiali compatti dell'era moderna. Le nazionali potranno allenarsi e giocare a breve distanza dal loro hotel e i tifosi avranno l'opportunità di guardare più partite in una sola giornata. «Sono stato a Doha di recente. Per i tifosi sarà un'esperienza unica, potranno fare una scorpacciata di partite.
I più facoltosi potranno seguire le partite direttamente dalle camere d'albergo che sono stati costruite con l'affaccio all'interno degli impianti. Sarà uno stress test enorme per il Qatar, bisognerà vedere se l'organizzazione reggerà».
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