Antonella Bellutti, oro di Atlanta e Sydney nel ciclismo, è stata la prima donna lo scorso mese di maggio a mettersi in gioco per inseguire il sogno di sedere sulla poltrona di presidente del Coni. Da sempre è impegnata ad abbattere barriere e steccati, culturali e non. Non è abituata a rispondere per frasi fatte, ma con i fatti.
È stata un'estate a tinte azzurre, sia ai Giochi dei normodotati che con gli atleti portatori di disabilità. Il bilancio parla di 69 medaglie: 14 ori, 29 argenti e 26 bronzi. Per un totale di 109 se si sommano le 40 dei Giochi olimpici che si sono chiusi l'8 agosto scorso.
«Dice bene, sarebbe il caso di cominciare a parlare solo di delegazione azzurra, di medaglie conquistate dagli atleti italiani, senza distinzione di sorta, anche perché uno dei valori più importanti dello sport è dato proprio dalla capacità di includere. Tenere distanti queste due storie, scritte per altro da atleti normodotati e disabili eccezionali, non è né giusto né tantomeno bello. C'è bisogno di mettere assieme, non dividere».
Luca Pancalli, presidente del Comitato paralimpico italiano, ha detto: «Nel nostro Paese ci sono 3 milioni di disabili, togliendo gli anziani abbiamo più di 1 milione di ragazzi da intercettare. Quello che abbiamo fatto a Tokyo mi auguro aiuti a tenere alti i riflettori sui percorsi di politica sportiva e sociale necessari per fare in modo che tra tot anni la nostra delegazione non sarà di 113 atleti, ma magari di 300 o 350».
«Condivido al cento per cento le parole del Presidente. Vorrei anche dare a questo messaggio un significato più ampio che rimanda anche al perché mi sono candidata alla presidenza del Coni lo scorso mese di maggio. Lo sport pare essere un mondo ideale, nel quale tutto funziona a meraviglia. La verità è che c'è ancora un modello che crea forti disuguaglianze al suo interno, e il tema della disabilità è un tema centrale su tutte le diversità. Non dimentichiamoci che tutte le donne che fanno sport di alto livello, ancora oggi, attendono di essere riconosciute professioniste».
Lei è impegnata da tempo per equiparare lo sport femminile a quello maschile, con il riconoscimento dello status del professionismo, ma in questi ultimi Giochi è emersa un'altra diversità evidente: anche a livello economico, una medaglia d'oro conquistata da un normodotato vale di più di quella ottenuta da un atleta con disabilità.
«Anche su questo sono stata più volte chiara e questa situazione non è più tollerabile. Credo che sia una sconfitta per tutto lo sport. E non accetto nemmeno che mi si venga a dire e mi si risponda a questo tema con la mancanza di risorse. È evidente che c'è ancora tanta strada da fare e c'è bisogno di un sempre più proficuo e serrato dialogo tra le istituzioni».
È normale avere ancora a che fare con la diversità?
«La diversità è uno stigma, tutto ciò che è diverso crea ancora problemi nella società ultra-moderna in cui viviamo. Sappiamo che le discriminazioni non vanno mai da sole. Lo stigma non è solo per la disabilità, ma per il colore della pelle, per le diverse religioni o per la diversa scelta alimentare e sentimentale.
La diversità è purtroppo un concetto in cui bisognerebbe focalizzare l'educazione, ma è altrettanto vero che sarebbe necessario partire dal concetto di normalità. Normalità e diversità sono due concetti su cui bisognerebbe riflettere molto».
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