L o squillo del telefono a notte fonda non è mai un buon presagio. Di solito porta brutte notizie. Da poco passate le quattro del mattimo, quasi l'alba del sei luglio 1971, a pochi giorni alla chiusura del calciomercato, trasferitosi dal Grand Hotel Gallia all'Hilton. Cambiata la sede, ma il gran Barnum del pallone è lo stesso, solo qualche viso nuovo fra gli addetti ai lavori, dirigenti e tecnici delle società, procuratori, giornalisti. Tutto in quei giorni gira intorno a Gigi Riva, perché da qualche anno si attendeva il clamoroso annuncio del suo passaggio dal Cagliari alla Juventus.
«Silvano - la voce ha l'inconfondibile inflessione napoletana di Gianni De Felice, amico e collega alla redazione sportiva del Corriere della Sera - Silvano....che succede? Mi ha chiamato Palumbo: dire che era arrabbiato è dir poco, su tutti i giornali sportivi e d'informazione, campeggia il titolo della clamorosa notizia di Riva alla Juventus.... tutti i giornali, meno uno, il nostro. Un buco incredibile, Palumbo l'ha già presa molto male e ti chiederà spiegazioni. E' a rischio la fiducia nel tuo operato. Non so come te la vedrai ma non sarà facile... immagina Gino, te la vedrai con lui in mattinata....Silvano, come hai bucato la notizia? L'unica che conta, che vale tutto il mercato.....». Il risveglio è decisamente brusco, ma trovo il tempo di chiarirmi le idee: «Gianni credimi, è la solita storia inventata...sono tranquillo, Riva non andrà mai alla Juve, nè in qualcuna delle rivali, resterà a Cagliari. Sono tranquillo, è la solita bufala del passa-parola. Prendo l'impegno e lo dirò a Palumbo. Se Riva andasse via da Cagliari mi dimetterei». «Auguri... intanto siamo in subbuglio...».
La presunta notizia s'era diffusa rapidamente, raccolta, commentata e arricchita di improbabili dettagli da parte dei tifosi nottambuli che tiravano l'alba fuori dall'Hilton. Una rassegna di pagine con foto e titoli di Riva, sul tavolo del salone di redazione, Palumbo passeggiava nervoso giocherellando con la penna biro, concentrato nel trovare le parole giuste per dare il via al confronto . «Silvanone - gli piaceva chiamarmi così -, cosa ti è successo per mancare la notizia, è incredibile il buco che può diventare storico... la situazione è delicata, ma vedremo di uscirne al meglio».
Palumbo non aveva perso la sua signorilità nemmeno in questa situazione. Attendeva spiegazioni. Gli esposi le ragioni per le quali Riva era bloccato a Cagliari, una grande strategia della Juventus. Remo Giordanetti, vice presidente bianconero e diligente uomo mercato dell'Avvocato e di Giampiero Boniperti, da poco presidente, mi aveva detto: «Lasci stare il problema Riva, continui a raccontare il mercato in termini cronistici, la quotazione di Riva è di 2 miliardi, impensabile e sproporzionato l'eventuale investimento a questo livello. Pagare 2 miliardi per un giocatore, per quanto bravo possa essere, avrebbe ripercussioni in questo momento delicato dell'economia italiana, offrirebbe motivo di contestazione operaia. Non va trascurato il problema dell'ingaggio, gli altri giocatori chiederebbero a ragione il conguaglio L'importante però è che Riva resti fuori dal giro e non lasci l'isola per andare in club nostri concorrenti. Quando la Juve vince, a Mirafiori è tutto tranquillo». Così, per bloccare Riva, la società torinese agevolava il mercato del Cagliari con prestiti di giocatori. Strategia che aveva sempre pagato.
Come sia finita? Riva, come è noto, è rimasto al Cagliari e a fine mercato era soddisfatto anche Palumbo, perchè ancora una volta la sua redazione aveva vinto.
Gino fu presentato al corpo redazionale del Corriere della Sera il 6 gennaio 1963, l'aveva scelto il direttore Alfio Russo. Arrivato quasi in punta di piedi, Palumbo aveva rivelato subito grandi qualità manageriali, impostando la struttura redazionale per rilanciare l'immagine ed i contenuti. Sempre con affettuosa signorilità e con la grande capacità di equilibrio nelle notizie e nei commenti, senza trascendere in inutili polemiche. Nacque la grande rivalità con Gianni Brera ed Il Giorno, paladino padano e critico dell'abatino rossonero Gianni Rivera, sino ad arrivare allo scontro non solo verbale nella tribuna di Brescia durante la partita con il Napoli.
I commenti di Palumbo alla domenica calcistica hanno lasciato il segno tracciando la nuova impostazione del giornalismo sportivo, cronache diligenti e raccontate senza voli pindarici, alla portata della vasta platea di lettori della quale Palumbo sapeva cogliere gli umori dopo abili sondaggi con la gente comune, quattro chiacchiere con il barista e con il tassista, poi lo scambio di opinioni con i tipografi e la redazione. Il panorama era completo, pronto per andare in macchina...
La redazione sportiva del Corriere della Sera era diventata l'incrocio di una carriera che avrebbe poi portato Palumbo prima alla direzione del Corriere d'Informazione, l'edizione del pomeriggio del giornale di via Solferino che usciva a quei tempi, e poi alla direzione editoriale della Gazzetta dello Sport, incarico che ricoprì per 7 anni prima di lasciarla in eredità a Candido Cannavò. E alla Gazzetta completò la sua opera di riforma del giornalismo sportivo, portandovi una grafica innovativa, titoli forti, ampio spazio agli spogliatoi, tutto quanto servì per lanciare il quotidiano sportivo verso una dimensione popolare e un incredibile boom di copie.
Il passo successivo avrebbe portato certamente Palumbo fra i direttori del Corriere della Sera, doveroso riconoscimento alle sue doti umane.
Ma a quella designazione, Gino dovette opporre una rinuncia dovuta alle condizioni di salute. Certamente anche lì sarebbe stato un grande direttore. Sono passati 30 anni dalla sua scomparsa, ci piace ricordarlo per le doti di grande uomo, oltre che di valido giornalista.(22. Continua)
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