Un inchino e una stretta al cuore per salutare Paola Pigni che se n'è andata leggera, come in un soffio, quasi corresse ancora sulla nuvoletta che l'ha portata lontana sulle piste di atletica. Se n'è andata velocissima, quasi una irrisione alla lunga distanza che l'ha resa guerrigliera e rivoluzionaria tra gli anni '60 e '70, pioniera che sapeva abbellirsi con il cosmetico della fatica, trainante per un mondo che ancora non riusciva a sbocciare. Ha lasciato l'universo dell'atletica, il suo habitat naturale, appena conclusa una manifestazione sulla educazione alimentare nelle scuole, nella tenuta di Castel Porziano in presenza del presidente Mattarella. Uno svenimento, si è rianimata, poi via all'ospedale San Eugenio: il cuore non ce l'ha fatta più. Paola Pigni era nata a Milano, il 30 dicembre 1945, nel tempo è diventata romana di adozione. È stata la prima nostra signora della fatica, fin a inerpicarsi sulla via della maratona, impietosa prova d'esame della corsa lunga che altre donne avevano sfidato, carezzando voglia ed ebbrezza, senza ricevere credibilità. Nel dicembre '71 fu tra le prime a provarsi nella maratona romana di San Silvestro.
Paoletta Pigni con quel viso allungato, lo sguardo che guardava verso l'alto, denti davanti che sporgevano un po' non ha smesso mai di correre verso il futuro. Cominciò come velocista rullando sui suoi 60 chili, poi i metri si fecero sempre di più: 400, 800. Ai giochi di Messico 1968 toccò le semifinali degli 800 m. A Milano, il 2 luglio di un anno dopo, esplorò la meravigliosa sensazione di un record del mondo durante la Notturna all'Arena, correndo i 1500 metri in 4'124. Il primato non durò molto. La sua storia diventa un brulicare di record, prestazioni, interpretazioni: il massimo con il bronzo olimpico dei 1500 ai Giochi di Monaco 1972, e un tempo ancora oggi di pregio in Italia. Lei correva con le sue forze. Le altre, tedesche e russe, non proprio. Quel bronzo le parve un oro, vedendo le storie che avrebbero accompagnato le avversarie. Vinse un bronzo europeo, due mondiali di cross. Amava le gare che per altre erano devastazioni. Le piacevano il fango, l'inferno delle strade, aveva conosciuto il problema del doversi arrangiare, si allenava alle 5 del mattino, correva con gli uomini per allenarsi meglio. Era figlia di artisti, ma quella era la sua arte. Nel 1973 conquistò il primato del miglio, mantenne tutti i primati nazionali dai 400 ai 10mila m. Trovò la sua quercia nel professor Bruno Cacchi, allenatore e poi marito: 15 anni di differenza. Traballarono i benpensanti. Lui insegnava educazione fisica nel milanese liceo Carducci, ci sapeva fare con i giovani: li attraeva all'atletica. Figuratevi con un tipo come la Pigni. Morì due anni fa. Portò Paola a grandi successi prima di diventare ct della nazionale.
A suo modo
indimenticabile Pigni, benché lei ne risultasse spesso sorpresa. Il suo limite? E'stata grande forse troppo presto. E troppo frettolosamente ha lasciato la vita, ma certo non uscirà mai dalla foto dei grandi della nostra atletica.
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