Dall'Inzaghi quasi esonerato all'Inzaghi in bilico. Il comunicato atteso dopo l'ennesimo flop non c'è stato e nemmeno l'incontro sbandierato ad Arcore tra Silvio Berlusconi e Adriano Galliani. L'intento è quello di cementare quel che resta della panchina del giovane allenatore nella speranza di accompagnarlo fino allo striscione d'arrivo del campionato. Ma l'incantesimo tra Pippo e il Milan si è rotto al minuto 32 della ripresa di Milan-Verona. E c'entra poco la beffa finale subita a 10 secondi dalla sirena con la stoccata di Nico Lopez che ha notificato il 2 a 2 conclusivo. Quel cambio, ordinato da Pippo Inzaghi (Pazzini richiamato in panchina per far posto a Bocchetti da schierare terzino sinistro stravolgendo il sistema di gioco) contestato in diretta dai pochi fedelissimi di San Siro oltre che dall'interessato, ha rotto l'incantesimo tra Pippo e il patrimonio calcistico del Milan facendo passare in secondo piano tutti gli altri numeri negativi della stagione. Che si possono così riassumere: 11 punti nelle ultime 11 partite, la media storicamente più bassa dell'era Berlusconi comandata, udite udite, da Max Allegri con quasi 2 punti a partita, in vantaggio di pochi decimali rispetto al santone di Madrid, Carlo Ancelotti. Senza tornare agli infortuni, che pure restano una spiegazione parziale, è stata quella mossa a far precipitare presso la platea di tifosi e critici le azioni di Inzaghi, già castigato a Torino (fece entrare Alex per dominare sui palloni alti e prese gol da Glik proprio dopo la sostituzione con l'attaccante), segno che dei molti maestri incontrati lungo la sua carriera, gli sono rimaste rudimentali nozioni di calcio all'italiana, fatto solo di difesa e contropiede (ah scusate oggi va di moda il sostantivo ripartenza). L'altro aspetto poco convincente della sua conduzione è stato rappresentato dalla girandola di formazioni e di sistemi di gioco adottati di partita in partita e durante la stessa sfida, solo in parte giustificati dalle assenze. Di recente poi ha preso a martellate pezzi del mercato da lui stesso ispirato: ha fatto una corte asfissiante a Cerci e l'ha messo in panchina, ha chiesto e ottenuto Destro al posto di Torres e gli ha assicurato lo stesso trattamento. Dagli addetti ai lavori sono stati considerati segnali di grande insicurezza, come se non avesse una bussola per orientarsi nell'oscura selva di Milanello.
Una delle domeniche più complicate di casa Milan è stata scandita dalle riflessioni e dal silenzio di Adriano Galliani in contatto telefonico con Silvio Berlusconi. Il presidente non ha mai amato mettere alla porta i suoi allenatori. Lo ha fatto solo in circostanze particolari (Tabarez, Terim, Zaccheroni, Allegri in quasi 30 anni) accompagnando un altro paio (Leonardo e Seedorf) a fine stagione. Procedere al terzo esonero in poco più di un anno è considerato un altro strappo all'immagine, oltre che una zavorra per il bilancio già appesantito dallo stipendio di Seedorf. A Pippo il presidente ha riservato un trattamento di grande affetto e protezione: ripetute le visite a Milanello interrotte solo in occasione dell'infortunio patito al malleolo. Nei colloqui tra Berlusconi e il suo ad sono stati valutati anche altri due fattori: 1) il breve tempo (12 partite) da qui alla fine del campionato per sperare in un cambio di passo clamoroso; 2) la scelta della soluzione-ponte ridotta a due nomi, lo storico Tassotti e il rampante Christian Brocchi, tecnico della primavera considerato capace di offrire alla sua giovane squadra (che ieri ha perso il derby con l'Inter 2 a 1) un gioco e una identità.
Inzaghi è rimasto tutto il giorno in attesa di qualche riscontro, sabato sera («sarà la società a farmi sapere cosa intende fare») sembrava quasi rassegnato, ieri ha ripreso colorito. L'incantesimo si è rotto ma così è possibile salvare il rapporto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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