Notti di fiele con la nazionale di basket che nell'arena di san Juan in Portorico ha scoperto che i pochi pregi erano superati dai troppi difetti. Si torna a casa e la cosa peggiore sarebbe piangersi addosso dopo aver vissuto la grande illusione come nell'ultimo film di Pieraccioni, quello dove per ingannare chi sognava un viaggio in Francia ricostruisce la scena sul poggio di casa urlando: «Pareva proprio Parigi». No, alle Olimpiadi andranno altri.
Questa volta non basta neppure la magia dello sciamano Pozzecco, quella che all'ultimo mondiale ci aveva illuso, perché il Portorico prima e poi la Lituania con le sue eresie ci hanno costretto a fare i bagagli. Siamo sempre stati sul carro del Poz, credendo quasi a tutto quello che diceva, ma adesso non vorremmo che anche lui si arrampicasse sugli specchi sparando alla luna, piangendo sull'assenza di Fontecchio o magari di Procida, perché la verità è facile da vedere in due partite dove non siamo andati oltre i 70 punti.
Il peccato originale di Azzurra gioiosa non è stato quello di essersi illusa nascondendo le debolezze, pronta a sorprendere dopo aver ritrovato un Gallinari capace di creare scompiglio dentro difese più o meno confuse come la nostra. Il male di Azzurra, anche questa dove chi c'era sembrava davvero un credente felice, è nato quando ci siamo resi conto di essere anemici in regia, di non avere energia per mascherare la debolezza a rimbalzo. Ora il gioco più semplice sembra quello di mettere in discussione chi ha scelto certi giocatori, ma non c'era nessuno a casa che avrebbe potuto dare più ad un allenatore che guarda sempre prima all'anima che al talento. Se devono esserci rimpianti è per i troppi anni passati senza avere centri di gravità permanenti.
A Parigi guarderemo con invidia chi andrà a
lezione dagli Stati Uniti con Lebron al comando: una squadra da sogno come quella di Barcellona nel 1992. Castigati come la Slovenia di Doncic e la Lettonia di Banchi travolta nella finale contro Aza Petrovic e il Brasile.
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