La prima di Pozzovivo il Bernacca del Giro d'Italia

L’ennesima salita fantasma ci regala la vittoria del lucano laureato in Economia ma con l’hobby della meteorologia. Hesjedal conserva la maglia rosa

La prima di Pozzovivo il Bernacca del Giro d'Italia

Canadese come la tenda, co­gnome da medicinale, Hesjedal continua a comandare il Giro col braccino anche dopo il famigera­to arrivo di Lago Laceno, talmente famigerato da concludersi con cinque chilometri di pianura. Neppure una foratura nel finale riesce a scalfire la maglia rosa. Tanto meno gli avversari di classi­fica: quelli superano la salitella in scioltezza, messi in fila da Basso, tutti chiaramente consapevoli che queste asperità sbandierate dal Minculpop rosa sono ridicole. Il Giro col braccino concede poco, facendosi pregare: dovremo pre­gare moltissimo, chiedendo la gra­zia, perché prima o poi arrivino an­che le tappe finali (Pampeago e Stelvio), le uniche davvero degne della grancassa e dell'epica.

Nella lunga attesa del Giro vero, questo Giro di seconda divisione, nel suo piccolo, trova almeno un piccolo gigante da piazzare in co­pertina: Domenico Pozzovivo. An­che per lui è una prima volta ( qui è tutto una prima volta: il primo li­tuano in rosa, il primo canadese in rosa, un giorno arriverà anche la prima montagna).

Dopo Tiralongo a Rocca di Cam­bio, Pozzovivo a Lago Laceno: il Giro col braccino è salvato dai ter­runcielli. Il primo è di Avola, Sici­lia bellissima, il secondo è di Mon­talbano Ionico, Lucania libera. Ar­rivato a due passi da casa, questo metro e sessantacinque d'uomo lascia tutti sul tratto più difficolto­so e va a vincere solo. Una vittoria qualunque? Non esattamente. A 29 anni, Pozzovivo è qualcosa di più del corridore qualunque. Qualcosa di meno in centimetri, qualcosa di più come talento. E moltissimo di più come personag­gio. Scalatore puro (e vorrei pure vedere, con i suoi 53 chili dopo la trippa e il panettone), darà fasti­dio su tutte le montagne del Giro, quando finalmente si decideran­no a concederle. Ma è giù di bici­cletta che la pulce lucana diventa decisamente unico, cocente delu­sione per quelli che ancora consi­derano il ciclista una specie di ce­rebroleso, incapace d'intendere e di volere.

Certo anche Pozzovivo non si sottrae al rito di dedicare la vitto­ria alla mamma, nel giorno della Festa, però lo fa nei modi più veri e sentiti: «I miei sono contadini, ma sono grandi persone. Mi hanno aiutato e sostenuto sempre, que­sta vittoria è per loro ». L'hanno so­stenuto per diventare ciclista, ma soprattutto per diventare un uo­mo. Con la faccia da bimbo, Pozzo­vivo pensa, fa e dice cose in gran­de. Anche cose molto normali, co­me «tifo Juve, ascolto Battiato e Jo­vanotti, amo la natura e forse per questo amo pedalare sulle monta­gne ». Ma altre decisamente origi­nali. Pozzovivo suona il piano. Pozzovivo ha trovato il tempo per laurearsi in economia aziendale. Pozzovivo studia per hobby il me­teo (in gruppo lo consultano co­me un Bernacca). Pozzovivo è un tizio che non si nasconde dietro il solito dismpegno dell'atleta me­dio, con la frase simbolo «io non mi interesso di politica», ma anzi dichiara tranquillamente le sue simpatie di centrosinistra, aggiun­gendo comunque «è sbagliato se­guire il fiume dell'antipolitica: da questa crisi si esce solo tornando alla politica».

Pozzovivo è così, pieno di inte­ressi e di idee, di ottimismo e di so­gni. In altri sport divistici sarebbe raccontato come un genio assolu­to, qui nel ciclismo basta raccon­tarlo come un ragazzo del Sud che cerca la strada scommettendo sul­la propria testa e sulla propria ani­ma.

Diciamolo, è comunque un gi­gante, in questo Giro col braccino che concede pochissimo, facen­dosi pregare. Guarda la classifica generale, prima di chiudere. Sem­bra un ufficio postale italiano: tut­ti accatastati in coda, con il bigliet­to in mano, aspettando nervosa­mente che prima o poi qualcuno chiami.

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