Pronti per la Brexit, con qualche ritocco. Pronti per stupire, sempre pronti ad essere se stessi, ovvero diversi. Esponenti di una città particolare, divisa in due nel tifo per via dei cugini dello Sheffield Wednesday, quelli dello Sheffield United affrontano il ritorno in Premier League con una rosa interamente composta da calciatori britannici e irlandesi più un solitario, unico straniero vero: Lys Mousset, 23 anni, franco-senegalese arrivato in Inghilterra nel 2016, al Bournemouth. Cosa lo United abbia visto in lui, pagato 10 milioni di sterline, non è chiaro, visto che Mousset con i Cherries ha segnato cinque gol in 77 partite tra campionato e coppe, ma bisogna fidarsi dello staff tecnico, indigeno pure quello.
In senso stretto: l'allenatore Chris Wilder, infatti, 51 anni, è proprio di Sheffield e tifoso da sempre dello United, come testimonia un tatuaggio. Oddio, a dire il vero è nato a Stocksbridge, piccolo centro che fa però parte dell'area metropolitana di Sheffield, popolata da oltre un milione e mezzo di persone. Colline - sette quelle su cui è costruita la città, in un curioso parallelo con Roma - e vallate, acciaierie dismesse da anni e due grandi università da oltre 60.000 studenti, dialetto dello Yorkshire e tanto sport, anzi tanto calcio visto che nel 1857 qui nacque il primo club del mondo, lo Sheffield Football Club, e lo stadio dello United, Bramall Lane, è il più antico tra quelli che hanno ospitato calcio professionistico fin dall'inizio.
E in questo vortice di storia e attualità una rosa così, non casuale: Wilder anni fa portò l'Oxford United dalla quinta serie alla League Two e il Northampton Town dalla League Two alla League One, prima di far fare allo United il doppio salto e completare così un curioso rosario di promozioni. E in questo percorso l'allenatore ha notato un tema: conservare quasi inalterato il parco giocatori dà frutti, perché si mantengono spirito vincente e coesione, oltre che conoscenza pregressa di tattiche e filosofie. Wilder è convinto che questo varrà anche in Premier League, con sei fedelissimi che erano con lui già in terza serie, e gli acquisti sono stati tutti di giocatori di nome relativo ma tenacia, combattività e produttività: specialmente in attacco, con l'ala Callum Robinson e la punta Oliver McBurnie, un irlandese e uno scozzese che pur novizi nello United hanno la cultura del lavoro giusta. La proprietà è, curiosamente, al 50% tra Kevin McCabe, pure lui nato a Sheffield, e il principe saudita Abdullah bin Musa'ad bin Abdul Aziz, spesso litigiosi tra loro forse anche per i diversi interessi, visto che il Principe trascorre gran parte dell'autunno negli Usa a vedere partite Nfl.
Vada come vada, lo United non ripeterà l'errore commesso, in anni recenti, da Fulham
e Queens Park Rangers, non per nulla in mano a proprietà straniere prive di competenza calcistica: spese assurde, rose ribaltate con innesti di giocatori nuovi, distruzione dello spirito che aveva portato alla promozione.
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