Siccome Jannik Sinner riesce sempre a giocare a nascondino con le sue emozioni, ci vuole un traduttore per raccontare il nuovo Maestro del tennis. Simone Vagnozzi è un coach che assomiglia a un fratello più grande, ruoli che spesso si mischiano quando, come quest'anno, ai problemi del campo si assommano quelli fuori.
Che cosa vuol dire, Simone, la vittoria di Torino?
«Sicuramente è una delle vittorie più belle. Dopo aver dovuto saltare Roma c'era questo obbiettivo di conquistare un torneo in Italia. Jannik ci teneva molto».
È stato un anno incredibile, però nello stesso tempo stressante per note vicende.
«Abbiamo vissuto un grande cambiamento nel team, e questo di solito non succede a stagione in corso. Marco Panichi e Ulisses Badio hanno però portato grande esperienza, anche grazie al loro lavoro a fianco di Novak Djokovic. Siamo riusciti a gestire la transizione».
Per Jannik non è stato complicato, sembra.
«Lui è uno che si impegna sempre a imparare qualcosa di nuovo e già a si è visto. Adesso con la preparazione per la prossima stagione sarà più facile».
Dalla sconfitta di un anno fa in finale al trionfo di quest'anno: tutto è cambiato.
«Siamo felici, diciamo che avremmo firmato se ci avessero detto che sarebbe successo tutto questo».
Com'è stato stargli a fianco?
«Il lavoro del coach è capire di cosa è capace il giocatore e il modo per fargli apprendere i cambiamenti velocemente. Se lui crede in te, è più facile. E se c'è questo tipo di rapporto vuol dire che il team funziona».
Come vi gestite con Darren Cahill all'angolo?
«Siamo entrambi molto tranquilli e Jannik non ama sentire molte parole durante i match. Diciamo che prima vediamo subito se è un bel giorno oppure no, ma per fortuna quest'anno di bei giorni ne abbiamo avuti tanti. Se serve interveniamo».
Cosa ti sorprende ancora di lui?
«Mi sorprendono partite come quelle che ha giocato in questi giorni».
E lui dice sempre che deve migliorare...
«È vero, certo stiamo parlando di dettagli. Però, per dire, su come gestire la tattica durante le partite, anche se a Torino si è visto già qualcosa di buono».
Perché è così eccezionale?
«La sua eccezionalità è quello che non vedete: come fa riscaldamento, come reagisce alle richieste del preparatore. Jannik non vuole avere rimorsi, e non è facile avere ragazzi così dediti a questo sport».
Come avete fatto ad aiutarlo nel momento più difficile?
«Il merito è tutto suo, è lui che andava in campo in quella situazione. Noi ne abbiamo parlato il meno possibile e lo abbiamo preparato bene fisicamente. Gli siamo solo stati vicini ricordandogli che non aveva fatto nulla».
E se lo squalificano?
«Non ci voglio neanche pensare. Siamo concentrati ora sulla Davis e continueremo a preparare il torneo successivo come sempre. Se poi non sarà possibile vedremo come fare».
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