Ventotto anni fa. A volte ti distrai per un pugno di istanti e quello che ti sembra inscalfibile assume i contorni di un ricordo da maneggiare con cura. Perché, a seconda del lato da cui lo impugni, può fare bene o malissimo. Nel 1994 Silvio Berlusconi aveva appena fatto la sua discesa in campo. Nelson Mandela diventava il nuovo presidente del Sudafrica con il 62,65% dei voti. La Regina Elisabetta II e il presidente della Repubblica francese François Mitterrand inauguravano il tunnel della Manica. E in serie A si disimpegnava discretamente - sempre basculando tra l’organizzazione spasmodica e l’incoscienza degli sfavoriti - la Cremonese di Gigi Simoni.
Secondo anno di fila in paradiso. La Lega ha varato ufficialmente l’era dei tre punti. La Cremo, abbreviativo che sa di vezzo affettuoso, si presenta all’appello con un budget che definire risicato sarebbe un simpatico eufemismo. Soltanto uno straniero, Florjiancic, un imberbe Enrico Chiesa (ma che stagione la sua, 14 centri alla fine) e poi un ordinato manipolo di mestieranti senza pretese, dal centravanti Tentoni a Giadebiaggi in mediana, passando per i Turci, i Gualco, i Pedroni. Voglia tanta. Per la tecnica tutti gli operatori sono momentaneamente occupati, si prega di riprovare più tardi.
Eppure questo gruppo di manovali pallonari riesce a piazzare i gomiti sul tavolo, agganciando un tranquillo tredicesimo posto. Il blocco è quello che un anno prima ha infilato in una bacheca non certo rigogliosa la coppa Anglo italiana. Gigi Simoni possiede in testa una spremuta di idee innovative da applicare con una buona barra di coraggio. In più sa come cullare e far crescere i giovani.
Partenza cupa, perché al Tardini Couto e Zola consegnano il successo al Parma. Poi però la Cremo riserva lo stesso trattamento al Napoli. Alla terza giornata altro inciampo: stavolta però la buca in cui precipitano i ragazzi di Simoni ha una criniera fluente e viene da Reconquista. Gabriel Omar Batistuta mitraglia e la Fiorentina mette via tre punti. In tribuna il presidente Luzzara scuote la testa. Sembra profilarsi esattamente quanto vaticinato dai più avvezzi al mestiere: un campionato di sofferenza.
Al male potrebbe aggiungersi il peggio se il prossimo avversario si chiama Milan, è tre volte campione d’Italia e sfoggia una rosa abbagliante. Baresi e Maldini. Boban e Gullit. Simone e Lentini. Ce ne sarebbe abbastanza per deporre le armi in partenza. Invece la Cremonese rifugge l’arrendevolezza. Compatta nel serrare ogni pertugio. Rapida nel provare a ripartire. Romantica quando tenta di palleggiare contro una squadra dieci volte superiore. Poi la svolta: doppio giallo per Panucci, l’arbitro gli indica la via più breve per la doccia. Il divario tecnico resta una muraglia quasi impossibile da flettere, ma adesso si respira ottimismo. “Speravo di pareggiarla”, dirà Simoni ai microfoni della stampa a fine gara.
Solo che la Cremo non pareggia. La Cremo vince. Senza lasciarsi sedurre da velleità di burro, evita di lanciarsi in avanti. I rossoneri attaccano, consci delle spanne di differenza che li separano dai padroni di casa. Poi però arriva la pennellata di Pirri, un irrisolto calcistico che quel giorno spinge il pallone sulla testa dello stopper Luigi Gualco. Quello soverchia tutti e la spinge dentro con ogni prominente ricciolo attaccato alla nuca. Adesso il Milan rimugina. Trapela pessimismo. Questi non si bucano.
Finisce esattamente così.
La piccola provinciale che sconfigge la storia e il blasone atterrati al Giovanni Zini. Non sarà come l’elezione di un nuovo governo o un tunnel sottovuoto che congiunge un’isola al continente, certo. Di sicuro però ci va sportivamente molto vicino.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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