Se solo noi tutti fossimo un po' meno italiani e un po' più inglesi, francesi, americani, ovvero popoli e genti che ci possono risultare indigesti però sanno che nella vita e nello sport tifare per l'uomo viene prima di tutto, oggi saremmo qui a elogiare la Ferrari che ci sta facendo sognare ma avremmo grandi parole e titoli e spazi per Antonio Giovinazzi. A Singapore, questo talento pugliese con la faccia per bene, troppo per bene per una F1 che gli italiani ha sempre lasciato alla porta o in sala d'attesa prima di accoglierli nel Circus e quasi mai in team di grido (in merito, le colpe della Ferrari sono storicamente grandi e grasse), questo talento è andato in testa al Gp e ci è rimasto per cinque romantici giri. Tutti sapevamo che non aveva ancora fatto la sosta ma tutti sapevamo anche che un ragazzo nostro non si trovava in vetta ad una corsa di F1 da 10 anni, da Spa Francorchamps del 2009, quando con la Jordan si issò in cima Giancarlo Fisichella. Corse e ricorsi dicono che entrambi abbiano lo stesso manager, Enrico Zanarini, corse e ricorsi ricordano, soprattutto, che se da dieci anni un italiano non si trovava così in alto, erano ben trentasei le stagioni trascorse dall'ultima volta di un'Alfa Romeo leader. All'epoca era molto più Alfa di questa e al volante c'era un talento, incostante, va detto, ma che sulla propria pelle aveva provato più di altri l'ostracismo anglosassone: Andrea De Cesaris.
Romano come Fisichella, si issò in vetta alla corsa proprio in Belgio, a Spa. Nel giorno in cui la Rossa ci emoziona con il suo tedesco che quando vince diventa per noi italiano, e con il suo monegasco che per noi è già straitaliano, ricordiamoci di questo paisà di nome Antonio.
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