Quando incontriamo per strada alcune vecchie glorie del passato, un sorriso spontaneo comincia a dipingersi sul volto. L'effetto simpatia è garantito, perché quelle piccole utilitarie sembrano ancora più minute al cospetto dei veicoli odierni, in special modo se confrontate coi possenti SUV che hanno colonizzato il panorama di tutte le città. Tuttavia, dietro a quell'immagine un po' buffa e teneramente goffa, si nasconde una storia preziosa e dal valore incommensurabile, perché molte di loro hanno permesso alle grandi masse di avere un mezzo a quattro ruote con il quale muoversi. In tal caso, è doveroso togliersi il cappello in segno di rispetto. Partiamo dalla Fiat 500, anche detta Topolino, per la somiglianza con il personaggio di Walt Disney. Nata negli anni '30 del secolo scorso aveva l'obbligo di essere funzionale, pratica, spaziosa ed economica, con un costo massimo di 5.000 lire. Negli uffici di Torino il testa a testa era fra due progetti: uno più conservativo firmato da Dante Giacosa e uno più audace di Oreste Lardone. Quest'ultimo perderà, perché durante un test il patron Giovanni Agnelli rischiò di rimetterci la vita. Inevitabile, dunque, l'avanzamento dell'idea di Giacosa. La Topolino avrà l'onore di essere la prima vera auto a mettere le ruote ai piedi degli italiani, mentre negli anni del Boom - grazie sempre a Giacosa - arriveranno prima la 600 e poi la 500 a completare l'opera. Guardando al di là delle Alpi, la stessa sorte è toccata alla Citroen 2CV e alla Renault 4. La simpatica vettura del Double Chevron, sopravvissuta miracolosamente alla guerra, aveva l'ingrato compito di andare a sostituire il carro trainato dai buoi nelle aree agricole della nazione, dovendo trasportare due contadini in zoccoli e 50 kg di patate, o un barilotto di vino. Le sospensioni, invece, dovevano permettere l'attraversamento di un campo arato con un paniere di uova senza romperle. Considerando che è arrivata immutata fino al 1990, la 2CV è andata ben oltre le aspettative. La Renault 4 è l'altra regina di Francia, voluta dal presidente Pierre Dreyfus per dare agli automobilisti un'auto robusta, semplice e versatile, come un bel paio di jeans. Prima di essere immessa nel mercato, la R4 fu testata nel deserto del Sahara, sulle strade della Guinea e tra la polvere della Sardegna, oltre a sfidare le temperature polari del Minnesota, durante uno dei più crudi inverni che si ricordino. Proprio come per un'altra leggenda che ha compiuto la democratizzazione delle quattro ruote: il Maggiolino Volkswagen. Un'auto nata con l'ordine tassativo di avviarsi senza problemi durante i gelidi inverni, di districarsi agevolmente su strade sconnesse, fangose o innevate, per lei niente è sembrato impossibile. Il Maggiolino si è dimostrato anche più forte dello stesso destino, resistendo alla guerra più crudele e spietata che si sia mai vista in Europa. Tra le rovine fumanti di Wolfsburg, nel 1945, quando tutto intorno aveva un aspetto lunare, uscirono dalla fabbrica le prime cimici che andarono poi a invadere tutto il mondo. Anche al di là del Muro di Berlino hanno avuto il loro Maggiolino, la Trabant, che tra un singhiozzo e una nuvola grigio-blu di miscela ha simboleggiato per decenni l'automobilismo semplice ma orgoglioso, diffuso tra i Paesi del patto di Varsavia.
Anche gli inglesi hanno il loro mito senza età, la Mini, la cometa su gomma scesa sulla terra per contrastare l'austerità e la crisi petrolifera di metà anni '50. E al di là dell'Oceano? Gli americani venerano la Ford Model T, la prima auto costruita su larga scala, mentre i giapponesi hanno nel cuore due piccole pesti: Subaru 360 e Honda 360.
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