Roma - Finire nel libro nero degli allenatori che perdono entrambi i derby capitolini della stagione non è simpatico. Accade al «neofita» Luis Enrique che vede ora lo spettro di un’annata fallimentare per la sua Roma e per il suo progetto, che molti vorrebbero al capolinea. Vincere una stracittadina in casa dei «cugini» dopo 14 anni può invece regalarti il «paradiso» sportivo. Accade a Edy Reja, che solo 10 giorni fa era sul punto di abbandonare la nave e invece imita Eriksson e «blinda» la panchina.
Un derby con tanti assenti e tanta paura che si rivela brutto, nervoso - quasi una cartina tornasole delle tensioni degli ultimi tempi sia a Trigoria che a Formello - ed è gestito malissimo dall’arbitro Bergonzi (che pure azzecca le decisioni chiave del match). Brutto anche per i buu razzisti a Juan, proprio nella giornata in cui le due squadre indossano la maglia che condanna gli squallidi gesti riferiti al colore della pelle e all’antisemitismo. «Non mi era mai capitato in un derby, ma nemmeno in Germania o in Brasile, ho rispetto per i tifosi della Lazio ma mi è dispiaciuto, più per loro che per me», così l’amarezza del difensore giallorosso.
L’espulsione di Stekelenburg dopo 7 minuti per il fallo su Klose (una regola che va assolutamente rivista, ndr) e il rigore di Hernanes mettono la stracittadina subito in salita per la Roma. «Qualche volta vorrei giocare il derby in undici, non so cosa ho fatto per meritare questa merda», così l’asturiano che parafrasa Pedro Almodovar per descrivere il suo stato d’animo, in riferimento anche al rosso diretto per Kjaer all’andata.
Lo sfogo del tecnico giallorosso, che deve ingoiare un nuovo boccone amaro e sembra non avere più credito dalla tifoseria, attesta che l’ultimo obiettivo dell’annata (il terzo posto) pare ormai un’utopia. «Continuo a credere nel progetto di Luis Enrique, ma per la Champions è dura. E la Lazio è stata più squadra di noi», l’opinione di De Rossi.
«Il vostro progetto è come il ponte sullo Stretto, non si farà mai...», ironizza uno striscione della curva laziale. Di fronte ai fucili spianati, il tecnico asturiano sottolinea «gli errori infantili che però ci saranno sempre per chi fa possesso palla come noi» commessi dalla squadra (vedi il rigore concesso dopo un appoggio sbagliato di Heinze e la rete di Mauri nata da un calcio piazzato, ndr). Ma poi aggiunge: «Progetto fallito? Non voglio essere allenatore di una squadra se non piaccio al club o ai tifosi. Ma il giudizio lo trarrò a fine stagione. Credo che merito di finirla: dodici partite, mi rialzo e rialzo i ragazzi. Per essere grandi manca tanto, ma ho visto cose buone e l’atteggiamento giusto».
Sulla sponda Lazio, sorrisi e soddisfazione. Quella di Reja che esulta come un bambino sotto la curva dopo aver spezzato un incantesimo (vincere in casa della Roma) che durava dal 1998. Il terzo posto in solitudine cancella veleni e incomprensioni, le voci su Zola suo possibile sostituto non hanno scalfito il tecnico goriziano. «È un mio amico, ci siamo sentiti, il presidente doveva prendere dei contatti se io andavo via - così Reja -. Sarei felice se Zola approdasse sulla panchina della Lazio, ma non ora, posso allenare altri 10 anni».
I numeri dicono che la Lazio viaggia sulla stessa media dell’anno scorso, segnando qualche gol in più. «In serie A è difficile ripetersi, ma ci proveremo. La Roma? Quando giochi in inferiorità numerica e vai sotto di un gol, è chiaro che non è facile. Ma faccio i complimenti agli avversari, bravi a pareggiare (con Borini, 8° gol stagionale)», dice ancora l’allenatore biancoceleste.
Che ritrova Mauri, uomo derby dopo un calvario durato 4 mesi. «Se all’andata era stato il successo della liberazione, questo è della consacrazione», sottolinea il capitano laziale. È il derby e la ruota quest’anno gira a favore dei biancocelesti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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