Il bus ormai conosce quel nastro d'asfalto a memoria. Congiunge due città che rivaleggiano da sempre, alimentate da un campanilismo viscerale. Poi si inerpica più su, su una collina che domina il mare, dove lo sguardo e i pensieri possono posarsi ad un livello che trascende le penose faccende quotidiane. L'uomo che scende la scaletta indossa un completo grigio e, appena il sole lo trafigge, corre al riparo inforcando un gigantesco paio di occhiali per contemplare meglio il santuario di Montenero. Dietro di lui sfila, in cadenzata processione, tutta la squadra del Pisa sporting club. Non è la prima volta e, certo, non sarà nemmeno l'ultima.
Perché Romeo Anconetani è uomo dal carattere di granito, ma non ha la tracotanza di chi si pensa superiore alle leggi divine. La fede sospinge le azioni. I ricorrenti pellegrinaggi cui costringe tutti, dai giocatori ai magazzinieri, non sono un optional da tralasciare con disinvoltura. Ora si fa il segno della croce e leva una preghiera laica verso il cielo: quasi tutte le richieste hanno a che fare con i risultati del Pisa. Non è un caso, allora, se in città l'hanno ribattezzato "Il Vescovo". Una liturgia profana la sua, resa ancora più pittoresca dall'altro lato forte delle sue credenze: quello scaramantico. Cospargere di sale grosso i bordi del campo è un'usanza apotropaica che mal si abbina alla religiosità canonica. Un rito propiziatorio al quale non sa proprio rinunciare, persuaso com'è che l'ingegno umano arrivi soltanto fino ad un certo punto. Prima di un Pisa-Cesena, nel 1990, rovescia accanto al rettangolo verde qualcosa come 26 kg di chicchi beneauguranti.
Questa striatura del suo carattere non deve però trarre in inganno. Imperioso eppure benevolo, esuberante ma placido all'occorrenza, Anconetani non è assurto al comando del Pisa a forza di botte di fortuna, oppure scandendo rosari. Quel che ha raccolto è frutto dell'acume, miscelato alla dedizione più totale. Perché Romeo non è un imprenditore. Non è mai stato uno di quelli che slacciano una valigetta sul tavolo e comprano il club che gli passa per la testa grazie alla munificenza di famiglia. Lui fa il giornalista (da qui il rapporto schietto, sempre sul bordo della rissa verbale, con la categoria). Di più: è il progenitore degli odierni procuratori.
Negli ambienti patinati del calciomercato italiano lo chiamano "mister 5%", la quota che chiede in cambio di ogni mediazione portata a casa tra club e calciatori. Ne mette a segno così tante che ad un certo punto le tasche esplodono di vecchie lire. Le sue conquiste vengono difese con feroce, ma a volte sbracata, risolutezza. Come quando, in un celebre hotel dove si svolgono le trattative, rincorre Ferlaino per prenderlo a schiaffi: la colpa del proprietario del Napoli sarebbe quella di aver trattato un suo assistito, tale Braglia, senza averlo coinvolto. Peccato che l'assistito si chiamasse Braida. Romeo si ricompone, accarezza la giacca sgualcita e chiede scusa, come se nulla fosse. Poi, a fine mercato, si mette in un angolo, inamidisce le punte di pollice e indice e inizia a contare: sì, adesso potrebbe anche comprarsi un club.
Anconetani acquista il Pisa nel 1978, ricorrendo ad uno stratagemma che ne denota la genialità. Radiato qualche anno prima con l'infamante accusa di aver provato a pilotare alcune partite, rientrerà dalla finestra figurando come "consigliere per gli acquisti del club", tramite un avventuroso accordo con la Camera di Commercio di Pisa. Patron d'altri tempi, conduce trattative surreali facendosi guidare dall'intuito. Altro che social e portali che ti raccontano la vita e le opere dei calciatori. Lui ha naso e flirta con la buona sorte: "Prendiamo questi due qua - comanda nell'ultimo giorno di mercato ai suoi emissari - dalla faccia sembra che abbiano la cattiveria giusta". Questi due qua sono Diego Simeone e Josè Antonio Chamot. Altri colpi sotto la torre: Dunga, Sclosa, gli olandesi Kieft e Been, i danesi Larsen e Berggreen. La sua capacità di scovare potenziali campioni per poi rivenderli a peso d'oro è quasi commovente. Padre autoritario ma che sa farsi amare, per lui vale la massima di Walt Whitman: "lo so, mi contraddico, contengo moltitudini". Con la città vive un rapporto simbiotico, alimentato dai risultati: sei campionati in serie A e due Mitropa Cup, roba che fa trillare i cuori nerazzurri. Con gli ultras va in curva, diventando il "Presidentissimo" che sa identificarsi con il popolo.
"In Italia comanda Agnelli - dichiara un giorno - ma qui a Pisa comando io".Tra gli ultimi esponenti di un calcio romantico e popolare, Romeo ci lascia nel 1999. La sua memoria - riflessa nel nome dello stadio - è però destinata a rimanere una faccenda senza data di scadenza.
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