Da San Giovanni in Persiceto al titolo Nba: ecco la storia di Marco Belinelli

Dalle giovanili della Virtus Bologna alla notte magica dei Mondiali 2006 contro gli Usa. Il sogno diventato realtà di un bimbo cresciuto guardando Michael Jordan

Da San Giovanni in Persiceto al titolo Nba: ecco la storia di Marco Belinelli

A 28 anni Marco Belinelli si sarà permesso il lusso di guardarsi alle spalle. Un istante soltanto, nella notte infinita dopo il suo primo anello Nba con gli occhi rossi per le lacrime, la gola roca per i troppo canti di gioia, la testa che gira per i fiumi di Dom Perignon. E il primo flash sarà stato quello del Mondiali di Giappone 2006. Il Beli che ruba palla e scappa in contropiede, il Beli che schiaccia in testa a Carmelo Anthony, il Beli che con 25 fa girare più di una testa dello staff tutto Nba del Dream Team. Lì inizia ad aprirsi la sua finestra sugli Usa.

Ma Marco ha voluto ricordare anche San Giovanni in Persiceto, paesone alle porte di Bologna dove è nato e a cui è ancora legatissimo. Lì inizia a scalfire i ferri al campetto e poi a giocare a pallacanestro. A 13 passa sotto la guida di un grandissimo formatore di giovani come Marco Sanguettoli alla Virtus Bologna. Il talento è cristallino e Ettore Messina (il coach che dopo aver vinto ogni cosa l'anno prossimo potrebbe essere proprio il vice di Gregg Popovich a San Antonio) a 15 anni lo lancia in prima squadra. A fargli da chioccia, guarda un po', è un argentino di Bahia Blanca che si è fatto conoscere alla Viola Reggio Calabria. Naso lungo, talento impressionante e faccia tostissima: è lo stesso Manu Ginobili che nella notte ha alzato il trofeo di campione Nba con Marco. È la stagione della scoperta della serie A e dell'Eurolega: Beli in campo ci sta anche se 18 anni li deve ancora immaginare. Ma quell'estate la Virtus fallisce e lui, troppo giovane per partire da casa, resta sull'altra sponda di Bologna, casa Fortitudo. La formazione del Beli si completa alla corte di un altro genio della panchina come il croato Jasmin Repesa. Quattro stagioni con una finale di Eurolega (persa), uno scudetto e una Supercoppa italiana.

Nel 2007 ecco il Draft Nba e la scelta, al numero 18, da parte dei Golden State Warriors. La città è una delle più pericolose di tutto l'universo Nba, Oakland, dalla parte sbagliata del Golden Gate. L'allenatore è una leggenda come Don Nelson e, se l'ha voluto, pensano tutti, una ragione ci sarà. Nella Summer League Marco esordisce da cannoniere vero: 37 punti in 40'. Sembra l'inizio del volo, sarà solo il principio di un'annata maledetta. Don Nelson non lo vede. Gioca solo 33 partite su 82, scampoli di garbage time e poco altro. Il Beli per la disperazione si butta sui biscotti (i brownies) i compagni lo chiamano «ciccione». Lui però non si scoraggia e la seconda stagione, complice una morìa di guardie titolari, arriva il suo momento. Gioca 13 gare da titolare, va costantemente in doppia cifra e il 19 dicembre 2008 fa impazzire gli atlanta Hawks: 27 punti, 3 rimbalzi e 6 assist. Un infortunio gli compromette il resto della stagione. Con Golden State ha chiuso, ma in estate finisce ai Toronto Raptors al fianco dell'altro azzurro Andrea Bagnani.
Ma l'esperienza canadese è un disastro. Sotto utilizzato e poco capito. Beli a fine stagione saluta e si accasa a New Orleans. Agli Hornets inizia a brillare la sua stella. Diventa uno scudiero di Chris Paul che lo impone a coach Monty Wiliams come titolare. La squadra funziona, l'azzurro fa quello che sa (10,4 punti di media a partita con il 40% al tiro da 3) e gli Hornets escono ai play off solo contro i Los Angeles Lakers di Kobe Bryant. L'anno successivo la squadra viene smantellata ma il Beli resta e migliora ancora le sue cifre: con quasi 12 punti di media si conquista una chiamata dei Chicago Bulls. Il massimo per uno come lui, cresciuto nel mito di Michael Jordan.

Sembra un'altra annata maledetta. Coach Tim Thibodeau è uno specialista difensivo e l'azzurro non è famoso per questa parte del gioco. Ma zitto zitto scala le gerarchie. E l'infortunio della stella Derrick Rose gli spalanca le porte del campo. Il Beli inizia a carburare a dicembre (oltre 14 di media per lui) e arriva a primavera bollente. I Bulls conquistano i play off e, con il roster falcidiato dagli infortuni, arrivano a giocarsi il passaggio in semifinale contro i Brroklyn Nets. Quando la squadra di Chicago sembra spacciata irrompono sulla scena proprio il Beli e Nate Robinson che guidano la rimonta in gara6 e i 24 punti dell'azzurro sono la sentenza su gara7. Poi i Bull si arrendono ai Miami Heat campioni ma per l'azzurro il telefono squilla in continuazione.

La scelta cade sui San Antonio Spurs dell'amico Ginobili e l'organizzazione perfetta del santone Gregg Popovich. Scelta azzeccata che porta a Belinelli il titolo della gara del tiro da 3 all'All Star Game e il titolo Nba. Ora basta girovagare, in Texas ha trovato la sua nuova casa.

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