A vederli insieme sono un unico sorriso. Sono quello che cantano gli Stadio: un giorno ti dirò che ti volevo bene più di me. Sara Tardelli per il papà Marco sembra giocare un doppio ruolo, opposto e complementare: quello del marcatore a tutto campo che tira fuori il meglio di te proprio perché ti mette alle corde e del compagno di squadra ideale, Pulici e Graziani, Rivera e Prati, Bonnie e Clyde. Sara è autrice tv, ha lavorato a La Storia siamo noi con Giovanni Minoli, a Radio 24 e oggi a Raisport nell’Istruttorie e nella Giostra del gol. Del padre ha scritto la biografia «Tutto o niente», appena uscita con Mondadori. Una bella partita, vissuta con passione, non sempre facile. Ma giocata da fuoriclasse.
L’idea di confessare papà a chi è venuta?
«L’idea della coppia è di papà. E lui che ha detto: la mia storia la voglio raccontare ma a scriverla deve essere Sara».
E tu?
«Io ho detto subito si...»
La cosa più sorprendente che ti ha raccontato
«Sono tante. I ricordi poi li devi interpretare per raccontarli, quasi ossigenare».
Ma una cosa in particolare?
«Più che un episodio, uno stato d’animo. La sua paura pazzesca prima di scendere in campo. Così ti dici: non è che sono sbagliata ad avere le stesse paure, si può vincere anche così. La paura ce l’hanno anche gli invincibili».
Secondo te ti ha detto tutto?
«Tutte le cose importanti quelle che servono a conoscerlo si. Poi qualche segreto può darsi sia rimasto».
In cosa vi siete scoperti uguali e in cosa diversi?
«Di carattere ci assomigliamo. Su tanti modi di vedere le cose, ma anche su questo bisogno di sentirsi amati».
Anche sul lavoro?
«Direi proprio di si. C’è questo desiderio di sentirsi capiti che ci unisce, di scoprire un maestro che riconosce il tuo talento e lo coltiva».
Chi è il Tardelli del giornalismo?
«Giovanni Minoli. Numero uno».
E chi è stato il tuo Bearzot
«Sempre Minoli. Ho avuto la fortuna di far coincidere la mia stella polare, cioè quello che è stato Bearzot per papà, con il mio modello professionale».
Ma da ragazzina avrai pure avuto un idolo. Quello che Gigi Riva era per tuo papà.
«Io volevo fare questo mestiere. Scrivevo, cantavo, andavo a danza, avevo mille passioni e un grande bisogno di esprimermi».
E quindi?…
«Il mio mito della perfezione impossibile era Michael Jackson. La sua ricerca della perfezione è anche il mio modo di lavorare».
La tua coppa del mondo qual è?
«Aver scritto il libro con papà è già un gran bel sogno realizzato».
Beh, un giorno potrebbe essere papà a scrivere la tua biografia
«No, no. Me la scrivo da sola...»
Un lavoro che hai nel cuore?
«Sono stata tanto fortunata. Ho lavorato davvero tanto e realizzato molte belle cose. Fare documentari per La storia siamo noi per esempio è bellissimo, o fare il Giro d’Italia, viverlo dal di dentro. Meraviglioso».
Nel tuo lavoro non trovi che ci siano più primedonne tra gli uomini che tra le donne?
«Guarda, siamo tutti uguali. Non me la sento proprio di farne una questione di genere».
Lavori sul calcio come tuo padre. Ma non ti sei stufata?
«Proprio no, m piace lo sport. Soprattutto il calcio ha qualcosa di romantico per me perché mi ricorda l’infanzia, il periodo in cui papà giocava».
Ho letto che giocavi a calcetto.
«Giocare è un parolone. Correvo avanti e indietro per il campo...»
Quindi a pallone non eri Tardelli…
«Ma che scherzi?... La grinta ce la mettevo, però solo quella. Ero un Gattuso che però non si è mai evoluto».
Sinisa Mihajlovic, ma non solo lui, dice che il calcio non è sport da signorine…
«Non mi sono affatto sentita chiamata in causa...»
Davvero?
«Una volta ho litigato con Roberto Mancini a La 7. Lui ha avuto da dire sulle mie domande, io ho risposto a tono, ognuno ha detto quello che doveva dire e arrivederci e grazie per l’intervista».
Che tempi sono i tuoi rispetto a quelli di tuo papà
«Né gli anni della guerra, né quelli della ricostruzione, né quelli di mio padre sono stati facili. Ogni generazione ha il suo muro da abbattere e il suo ostacolo da saltare. Io vedo tutti i miei coetanei appassionati nonostante si destreggino tra contratti inesistenti e divisioni profonde sul lavoro che nascono a volte solo da un contratto diverso. Penso comunque che siamo una generazione tosta anche noi».
C’è un film che si intitola Era mio padre. Chi è tuo padre per te?
«Raccontandomi un momento della sua vita, quando aveva vent’anni e doveva fare una scelta importante, mi ha detto: sai, Sara, per me la cosa più importante è alzarmi la mattina, specchiarmi e riconoscermi ogni giorno.
E questa cosa detta in un momento delicato per lui, un momento che avrebbe cambiato la sua vita è stata una grandissima lezione anche per me».Come scriveva un anonimo: ogni uomo può essere padre. Ma ci vuole una persona speciale per essere un papà.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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