
La tentazione di trasformare la valanga dei dettagli emersi nell'inchiesta sulle scommesse in un'ondata di intransigente moralismo verso i calciatori finiti nella rete, è molto consistente. Colpiscono in particolare le dimensioni delle puntate e delle cifre polverizzate in poche settimane, conseguenza indiretta di ricchi stipendi e di un vizioso utilizzo del tempo libero. Sulla spinta di tale sentiment dell'opinione pubblica, il ministro per lo sport Andrea Abodi ha cavalcato l'onda e patrocinato la proposta di vietare ai futuri rei l'ingresso nelle squadre nazionali. Non sono mancate difese d'ufficio (il presidente del sindacato calciatori) e quelle più autentiche dei professionisti che hanno preso per mano Tonali e Fagioli accompagnandoli lungo il crinale scosceso della ludopatia per liberarsi dalla patologia. Delle une e delle altre abbiamo bisogno per riflettere sulla proposta e coglierne le fragilità. Chi sconta una squalifica, e magari è andato in pellegrinaggio presso scuole e associazioni a confessare il proprio peccato, sana il proprio debito, non può pagare carriera natural durante gli errori commessi. Senza rievocare i due mondiali vinti dal calcio italiano nell'82 e nel 2006 con alle spalle storie di scandali, è forse il caso di puntare i riflettori sul mancato controllo da parte di club, dirigenti e procuratori i quali sapevano e anzi, in qualche circostanza, non hanno aiutato i propri assistiti a liberarsi da quella morsa infernale. C'è una foto, pubblicata nei giorni scorsi riferita a un ritiro azzurro, che ritrae alcuni calciatori riuniti intorno a un tavolo, intenti a giocare a poker on line, che procura inquietanti interrogativi.
Possibile che nessuno si accorgesse di questa pratica? Possibile che nessun famigliare sia intervenuto come ha fatto, ad esempio, Andrea Pirlo bloccando i conti del figlio Niccolò? Chi avesse un po' di memoria, sulla questione, dovrebbe oggi apprezzare la famosa sparata di Luciano Spalletti, ct della Nazionale, («non si viene qui per giocare fino alle 4 di mattina!»). Forse sapeva e lanciò l'allarme rimasto inascoltato.
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