Nba ovvero National Basketball Association. Ma non sarà il caso di modificare la prima parola e dunque la prima lettera? Magari in International? Domanda retorica e senza risposta, ma legittima: due settimane fa i Toronto Raptors hanno vinto il titolo, prima squadra non statunitense a farlo. E poche ore fa i principali riconoscimenti individuali per la stagione 2018-19 sono andati a tre giocatori nati e cresciuti al di fuori degli Stati Uniti: Mvp cioé migliore del campionato è stato votato Giannis Antetokounmpo, l'ala dei Milwaukee Bucks, mentre difensore dell'anno è stato (per il secondo anno di fila) Rudy Gobert degli Utah Jazz e miglior rookie, cioé debuttante, è stato Luka Doncic dei Dallas Mavericks, squadra nella quale è sostanzialmente l'erede di Dirk Nowitzki. Un greco di origini nigeriane, nato e cresciuto ad Atene in una famiglia di immigrati clandestini, un francese e uno sloveno: non solo non americani, ma pure europei, anche se di provenienza e cultura cestistica eterogenea. È la prima volta in assoluto che questo accade, anche se qualcosa di simile era successo nel 2001-02, con Tim Duncan Mvp e Pau Gasol miglior matricola, ma Duncan rappresentava un elemento particolare perché pur se considerato straniero era nato nelle Isole Vergini Americane e aveva fatto l'università negli Stati Uniti, a Wake Forest.
L'impatto maggiore dei tre neo-eletti lo ha certamente avuto Antetokounmpo, 24 anni, votato migliore di tutti solo sei anni dopo aver giocato nella seconda serie greca: ala di 2,11 ed esagerato atletismo, viene da una stagione con 27,7 punti, 12,5 rimbalzi e 5,9 assist di media ma anche il rammarico di aver perso l'accesso alla finale contro una squadra che in regular season era arrivata alle spalle di Milwaukee: sul palco della premiazione, emozionatissimo, ha ammesso che il prossimo passo sarà quello dell'anello di campione.
Al di là della retorica, già essersi affermato nella Nba rappresenta per lui un enorme risultato, dal momento che da ragazzino voleva giocare a calcio e solo la testardaggine di un coach locale ora cinquantenne, Spiros Veliniatis, lo spinse verso il basket, con un aiuto economico alla famiglia perché Giannis potesse trascorrere qualche ora ad allenarsi e non a cercare lavoretti.
Nel draft del 2013 passò alla Nba senza nemmeno sfiorare il massimo campionato greco ed ora è il volto di una lega che per via della diffusione maggiore del basket in giro per il mondo ha una componente internazionale (sarebbe più corretto dire straniera, ma si preferisce l'altro termine) molto forte, più ancora dell'hockey, con i suoi tanti russi e scandinavi, e del baseball, con i suoi latinoamericani, mentre il football è tuttora particolarmente americano perché è meno facile che un singolo giocatore straniero possa emergere in contesti di minor valore tecnico.
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