La serie A sulla giostra del gol Nazionale

L'Ital-Mancini nel 2019 segna 3 gol a partita: il campionato l'ha «copiata»

Marco Lombardo

Seduto su un gradino del Foro Italico, Matteo Berrettini sognava. Era maggio di un anno fa, durante gli Internazionali d'Italia, ancora pochi lo conoscevano. Di sicuro il suo allenatore Vincenzo Santopadre sapeva invece quale sarebbe stata la strada: «Matteo è un ragazzo intelligente, curioso, con tanta voglia di imparare. Andrà lontano». È arrivato, infatti, nei primi otto degli UsOpen. Per ora.

Tre set a zero (6-1, 6-4, 7-6) contro il russo Rublev, una partita perfetta. Così un italiano è tornato nei quarti dello Slam americano, 42 anni dopo Corrado Barazzutti, era appunto il 1977. Solo che allora si giocava sulla terra verde di Forrest Hills, molto simile a quella che piaceva a noi italiani. Per cui Berrettini ha compiuto l'impresa doppia: è il primo a farlo a Flushing Meadows, in quello che è diventato il tempio del tennis pop. Così rumoroso, così affascinante.

E allora: è il trionfo del bravo ragazzo, in uno sport dove spesso conta l'eccesso per farsi notare. Matteo è sempre rimasto concentrato sulla sua missione, accompagnato da un coach che sa leggerlo con uno sguardo, da un team che fa famiglia, da una famiglia che non lo molla un attimo e lo accompagna verso la gloria. Nell'angolo ultimamente si è aggiunta anche una ragazza, ovvero la collega Ajla Tomljanovic, australiana anche lei discreta e sorridente. Perché di questo ha bisogno uno come lui.

Sorrisi come quelli ha dispensato dopo una smorzata che ha fatto alzare in piedi gli undicimila dello stadio intitolato a Louis Armstrong, coperto dal tetto per difendersi dal diluvio newyorkese. Sorriso che non finivano mai alla fine, dopo aver tremato sul più bello, perché i bravi ragazzi hanno per forza dei momenti così. È successo sul 6-5 e servizio nel terzo set, in un game perduto con l'unico doppio fallo della partita. Un tremore. Spazzato via poi nel tie-break.

«È stato una cosa folle, non riesco ancora a rendermi conto di quello che ho fatto: forse ci riuscirò domani»: Matteo sembrava perfino troppo incredulo, eppure lui sa dove vuole arrivare. Perché non è finita certo qui: in un torneo che ha perso un - lui sì - Djokovic nervosissimo e dolorante (ha litigato con un tifoso in allenamento e ha risposto male ai fischi del pubblico quando ha lasciato il campo nel match contro Wawrinka), ci sono strade che a un certo punto sembrano spianate. Berrettini avrà infatti nei quarti uno tra Andujar e Monfils: tutto è difficile, ma ormai nulla è impossibile. E chissà, sognare una semifinale con Nadal - dopo aver incrociato Federer a Wimbledon - potrebbe essere un altra tappa di quella strada che non è più una chimera.

Intanto, anche se ci si fermasse qui, da lunedì Matteo sarebbe il numero 16 del mondo,

ovvero il suo best ranking. Ma lunedì è ancora un giorno lontano. E allora: «Oggi ha funzionato tutto: ho variato con i tagli, il servizio e il dritto, le mie armi hanno funzionato». Perché non sognare che funzioni ancora?

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