
Se la serata di Napoli potrà essere una pietra miliare sulla strada tricolore, l'Inter ringrazierà sempre Federico Dimarco: il miglior interprete di quest'Inter cinica, capace, nelle serate di latitanza dei bomber, di trovare forza anche dalle retrovie. Perché la difesa di Inzaghi regge all'arrembaggio dei napoletani almeno fino all'85', quando Dimarco è già sotto la doccia da un pezzo e Billing trova il gol che tiene ancora vivo il campionato. Ma al minuto 22 del primo tempo, in una delle rare sortite nerazzurre dalle parti di Meret, c'è una punizione dal limite. E c'è qualcuno che ha già in mente tutto: Dimarco, l'uomo che fino a quel momento aveva messo in croce Di Lorenzo sul fianco destro della retroguardia azzurra. Un occhio alla porta e palla nell'angolino alla destra di Meret dove il portiere di Conte non può arrivare, anzi non ci tenta nemmeno. Una punizione chirurgica, mancina, proprio nello stadio intitolato al macino più leggendario del calcio, re Diego. La prima vincente di sinistro da quando l'impianto di Fuorigrotta si chiama Maradona.
Ma ai vecchi cuori nerazzurri quel mancino avrà fatto venire in mente un altro mitico piede sinistro capace di disegnare punizioni vincenti, come Mariolino Corso e le sue foglie morte che segnarono i trionfi dell'Inter di Moratti padre. Oppure, in tempi meno lontani, il mancino incompiuto che aveva fatto innamorare Moratti figlio, ovvero Alvaro Recoba.
E non deve nemmeno sembrare strano che uno dei gol più pesante della stagione nerazzurra arrivi da questo difensore esterno che qualcuno si chiede se, oggi, sia il miglior terzino sinistro del mondo, a partire da Spalletti che punta anche su di lui per ritornare finalmente al Mondiale. Dimarco infatti è al suo 4° centro in campionato, il 9° in due stagioni, secondo difensore-bomber della serie A dopo il suo omologo destro, Dumfries, che ne ha infilati 10.
Ma non c'è da stupirsi, perché Dimarco ha ascendenti e cifre che si perdono nella storia del gol nerazzurro. A partire dal numero, quel 32 che per 190 volte è stato sulle spalle di Bobo Vieri, uno da 123 reti nell'Inter, mentre Federico è già a 171 partite con 18 gol, come Ivan Cordoba, il terzino del triplete, e Oscar Engler, difensore svizzero di inizio Novecento. Davanti a lui, tra i bombardieri delle retrovie, restano solo Materazzi e Maicon (20), Zanetti (21), Bergomi (28) e l'inarrivabile Facchetti (75).
E per restare tra le leggende c'è un'altra storia che lega Dimarco, milanese di Calvairate, al re dei gol interisti, un
milanesissimo come Peppin Meazza, perché Federico è figlio dell'ortolano di Porta Romana, proprio come il Balilla era figlio della verduratta, per dirlo con Gianni Brera, di Porta Vittoria. Segni del destino sotto la Madonnina.
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