Lo Squalo morde il Tour. "Gli italiani messi male i francesi anche peggio"

Nibali: "Noi con solo sette corridori, ma cosa devono dire loro che non vincono dal 1985"

Lo Squalo morde il Tour. "Gli italiani messi male i francesi anche peggio"
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Il giallo: il colore dell'estate. Il colore del Tour e dei suoi campi di girasole. È il colore di tutto e del suo contrario: della luce e del calore, della prosperità e della ricchezza, della gioia e dell'energia, ma anche della follia e della menzogna, del tradimento. In questo caso, però, senza ricorrere all'armocromista è più semplicemente il colore di una delle maglie più desiderate in assoluto, la maglia gialla.

Il giallo è tra i primi colori prodotti dall'uomo. Tra le pitture del paleolitico c'è appunto l'ocra: terra argillosa naturale molto fine e colorata dall'ossido di ferro. Tuttavia il giallo ha da sempre un fortissimo concorrente: l'oro. Giallo e oro, per chi vince il Tour de France è in pratica la stessa cosa. È il segno distintivo più chiaro e prezioso che indica il massimo per un ciclista.

Uno che ha vissuto l'età dell'oro vestendosi di giallo è Vincenzo Nibali, l'ultimo italiano capace di salire sul gradino più alto del podio sui Campi Elisi. Cosa per pochi eletti, per gente come Ottavio Bottecchia (2) e Gino Bartali (2), Fausto Coppi (2) e Gastone Nencini, Felice Gimondi e Marco Pantani, prima dello Squalo appunto, di cui oggi sentiamo nitidamente la sua assenza.

Lo Squalo dominò l'edizione 2014, dopo essere già stato 3° nel 2012 e 4° nel 2015. Quattro vittorie di tappa, diciannove giorni in maglia gialla su 21, l'unico capace di interrompere il dominio Sky che in quegli anni con Bradley Wiggins e Chris Froome facevano quello che volevano. «Fu un'emozione incredibile, qualcosa che davvero ti cambia la vita spiega il siciliano che domani sarà a pedalare alla Maratona delle Dolomiti -. Te lo dicono, lo sai alla perfezione, ma solo quando accade capisci realmente la portata dell'evento e di quanto incida sulla tua carriera. Tanti avrebbero voluto vedermi ancora a quel livello ma... Tornare al Tour l'anno dopo senza aver disputato il Giro e restando tanto tempo senza correre fu un errore terribile».

Intanto è anche l'ultimo italiano ad essere riuscito a vincere una tappa al Tour (Val Thorens, 2019), ma cosa ne pensa di questo Tour numero 110 che va ad incominciare oggi con una tappa più che impegnativa (Bilbao-Bilbao, 182 km e 3.300 metri di dislivello, ndr)? «Sarà un Tour molto interessante, che vede due super corridori in pole-position: Vingegaard-Pogacar. Gli altri dietro. Interessante sarà capire chi riuscirà ad inserirsi in mezzo a loro, a fare da terzo incomodo, anche se non sarà facile».

Un Vingegaard che arriva all'appuntamento con una condizione più che buona, verificata sulle strade del Giro del Delfinato, per altro vinto, e il fuoriclasse sloveno, che ha dovuto fare i conti con un delicato infortunio alla mano. «Il danese parte meglio, ma avrà sulle sue spalle il peso della corsa, su questo nessun dubbio», assicura Nibali.

È un Nibali che non si scandalizza per i soli 7 corridori italiani chiamati a tenere alto il nostro ciclismo «sono cicli e poi oggi la mondializzazione del ciclismo non è più solo un modo di dire, ma una realtà. Ma se ci lamentiamo noi, cosa dovrebbero dire i francesi che non vincono la loro corsa dal 1985, con Bernard Hinault?».

E nonostante il 24enne sloveno parta con un handicap nemmeno tanto piccino, lo Squalo lo vede sempre come favorito.

«Jonas è fortissimo, soprattutto in salita, ma andrà verificato sul campo quanto gli peserà essere il favorito. Tadej può permettersi di lasciare il peso al re pescatore e agire di conseguenza: Tadej ha il dono della fantasia».

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