L a prima cosa che bisogna doverosamente dire, prima ancora di esprimere qualunque opinione a favore o contro qualcosa o qualcuno, è questa: se tutte le nazioni evolute dello sport avessero in questi anni rivoltato i propri atleti di punta come l'antidoping americano ha rivoltato Armstrong, la storia recente dello sport mondiale non sarebbe la stessa. Sarebbe tutta da riscrivere. Il riferimento va per esempio alla Spagna, sede e teatro di scandali epocali, ma muta, sorda e cieca nel perseguirli, impegnata soltanto ad autocelebrare vanitosamente i propri primati multidisciplinari.
Ancora una volta, gli Usa si dimostrano estremisti: prima nel costruire la storia esemplare, la più storia di tutte, con un giovane malato di cancro che riemerge dal baratro della malattia e diventa il più grande ciclista di tutti i tempi, o quasi, l'unico capace di vincere 7 Tour de France consecutivi. Soldi, libri, cinema, mito: una formidabile macchina propagandistica che arriva a smuovere sentimenti e lacrime in tutto il mondo, sin nei meandri più periferici e irraggiungibili. Armstrong è certo il superman della bicicletta, ma è soprattutto l'eroe moderno che permuta la sua fatica e il suo successo con solidarietà cosmica, drenando sensibilità e denaro per una Fondazione potentissima, cinquecento milioni di dollari in quindici anni di attività.
Eppure, là nelle pieghe nascoste dell'epopea, il segugio Travis Tygart, capo dell'antidoping a stelle e strisce, con metodi e tenacia da classico poliziotto yankee, non smette mai di braccarlo. Raccogliendo le testimonianze dei vecchi compagni di Lance, alcuni dei quali oggettivamente incavolati con lui per mille questioni, il segugio arriva alle conclusioni più tragiche: il ragazzo che ha battuto tutti al Tour, che ha battuto prima di tutti il cancro, non è il superuomo del bene e delle cose belle, ma un Al Capone dello sport, così cinico e amorale da imbrogliare il mondo, persino i più deboli e i più candidi compagni nella lunga battaglia contro il cancro.
Anni di durissimi faccia a faccia, di costosissime battaglie legali e anche di pesanti colpi bassi. Adesso la resa. Stanco di sentirsi il segugio alle calcagna, Armstrong si ritira dal duello, lasciando che la giustizia faccia il suo corso fino in fondo, cioè lo demolisca definitivamente, lasciando solo pietose macerie. Il dettaglio davvero grottesco della specifica questione Tour, cioè le sette vittorie cancellate, è che dovrebbero finire nella bacheca dei battuti, come in una specie di catarsi postuma per restituire il maltolto alle povere vittime, se non fosse che pure i battuti risultano altrettanto braccati e altrettanto svergognati, come il tedesco Ullrich e come il nostro Basso, a loro volta finiti nella rete di antidoping seri come il tedesco e l'italiano.
Per questo teatrino, però, siamo solo all'inizio: c'è tutto il tempo. Quel che resta già adesso, per sempre, risultato acquisito e immutabile nei secoli dei secoli, è qualcosa di molto triste: la leggenda di Armstrong, la storia più storia di tutte, diventa ufficialmente un misero tarocco, e non c'è più niente che possa ricostruirla.
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