Nessun dubbio: esistono due Infantino Gianni. Il primo annuncia al mondo di sentirsi gay. Il secondo nega ai capitani delle squadre di indossare il bracciale arcobaleno con la scritta One Love, una fascia per difendere e sostenere i diritti della comunità LGBTQ+. La dittatura della Fifa impone le regole non soltanto di gioco, già quelle stravolte e suggerite forzatamente ai membri dell'International Board, ma anche quelle del vivere civile. E che ha provocato la reazione del segretario di stato americano, Antony Blinken, che ha definito «preoccupante quando vediamo qualsiasi restrizione alla libertà di espressione, specialmente quando è a favore della diversità e dell'inclusione». Non solo: «A mio giudizio, nessun giocatore su un campo di calcio dovrebbe essere costretto a scegliere tra sostenere questi valori e giocare per la propria squadra».
Gli inglesi sono stati i primi a genuflettersi, non soltanto prima del fischio d'inizio, come hanno scelto di fare da tempo, contro ogni forma di violenza razzista (Black Lives Matter) ma piegandosi miseramente all'ultimatum di Infantino e del suo clan. Una capitolazione dinanzi al wokismo fasullo del presidente, a quella sua improvvisa e ipocrita sensibilità alle ingiustizie sociali, religiose, politiche, durata lo spazio di un mattino per essere prontamente rivista, corretta e smentita.
Ben più seria e cosciente è stata la scelta dei ragazzi dell'Iran, le loro labbra chiuse all'inno nazionale, il loro comportamento di altissima dignità anche in conferenza stampa, l'ammissione sofferta della tragedia del loro Paese, con la sola eccezione del mercenario Queiroz, allenatore portoghese pronto a servire il proprio datore di lavoro e non il popolo dei tifosi, soprattutto quelli presenti allo stadio, addirittura invitati, senza provare un soffio di vergogna, a tornarsene a casa!
Il mondo dei furbi sta vincendo in Qatar, il mondiale della morte e dei farisei, non certamente un'esclusiva della Fifa ma del calcio tutto se soltanto ripensiamo all'Argentina di Videla nel 1978, alla Russia di Putin nel 2018, ai mille milioni incassati dai nostri professionisti, da Cannavaro a Pellé, da Lippi a Giovinco, da Stramaccioni a Donadoni, muti mentre attorno a loro l'aria delle terre in cui lavoravano, nulla aveva, e ha, a che fare con la democrazia e il rispetto dei diritti civili e umani, la via della seta calcistica non ha alcun pudore, è la stessa percorsa dai club che vanno a giocare in quei luoghi la super coppa nostrana nel nome del denaro facile.
I calciatori dell'Iran rischieranno umiliazioni e sanzioni feroci al loro rientro in Patria, i loro sodali dell'Inghilterra hanno tremato dinanzi all'ipotesi di una ammonizione, il loro corpo tatuato si rivela fragile e vigliacco, una diversa fascia al braccio ha smascherato la loro codardia.
Ma è il Qatar, lo stesso che poco prima della cerimonia inaugurale, cambiando la propaganda delle ultime settimane, aveva vietato la vendita della birra ai tifosi. Ma è la Fifa, complice di questi regimi. Fino al 18 di dicembre, questa sarà la commedia.
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