Salvatore Scarpino
Quando larroganza mafiosa supera in Calabria la soglia della violenza che una consolidata rassegnazione fa ritenere «ordinaria», puntuale riaffiora la polemica sulla lontananza dello Stato. Questa volta il colpo è stato forte, mirato contro unintera classe politica, senza distinzione di schieramento e di colore, con lintento preciso di riaffermare la supremazia del malaffare sulla normale gestione della cosa e delle risorse pubbliche. Forte è stata anche la risposta, dallintero Paese e da tutti gli ambiti politici e istituzionali. E tuttavia la polemica resta, coi sindaci che lamentano la solitudine degli amministratori locali nelle zone calde e con tanta brava gente ferita e turbata che invoca strumenti speciali, mezzi risolutivi di unemergenza incancrenita. Dallaltra parte, il ministro dellInterno, ammaestrato dalla campagna per la riconquista di Napoli, che si dichiara certo di riuscire a catturare i responsabili dellomicidio di Francesco Fortugno. Pisanu non ritiene giuste le accuse di latitanza mosse allo Stato e ai suoi apparati di sicurezza e, pur con il garbo che loccasione dolorosa richiede in una terra così odiosamente colpita, chiede ai calabresi onesti di interrogarsi, di chiedersi se il «contributo che essi danno oggi alla lotta alla criminalità accanto allo Stato, alla magistratura, alle forze dellordine sia sufficiente o no».
Questa posizione del titolare del Viminale non è nuova, anche a Napoli ha sottolineato più volte che è inutile, per battere certe forme di criminalità storicamente radicate, confidare soltanto sulle forze della repressione, è necessaria una riscossa civile che isoli i malavitosi, ne metta a nudo la pericolosità e soprattutto lo vocazione anti-popolare. Perché proprio in una malintesa solidarietà di quartiere e di paese, in un miscuglio di intimidazione-paura-subcultura falsamente autoctona si annida il rischio della collusione e della connivenza. La legalità non è divisibile, né ammette deroghe.
Sia chiaro, in Calabria lo Stato non ha brillato in passato per continuità dazione e spesso ha mostrato soltanto la faccia feroce. Oggi lo Stato cè, come dice Pisanu, ma si ha spesso limpressione che funzioni a corrente alternata, proprio nellazione di contrasto della malavita. Se la ndrangheta alza il tiro aumenta la pressione delle forze della legge sul territorio, ma poi, fatalmente, prevale la constatazione di Clausewitz, secondo la quale ogni attacco gradualmente cala dintensità fino ad arrestarsi. Fino al successivo attacco-contrattacco. A ciò si aggiungano croniche carenze di uffici e di mezzi, si pensi alla situazione della magistratura. Lo Stato cè, ma forse non ce nè sempre nella misura e con lefficienza che sarebbero necessarie.
Ma Pisanu non sbaglia quando invoca una riscossa civile, ci vorrebbe un Grande Fratello per aver ragione della criminalità organizzata o almeno per contenerla al minimo - senza la collaborazione della parte sana, o non direttamente compromessa o collusa, della società.
Le forze di polizia tengono unanagrafe accurata e aggiornata deg]li ndranghetisti. Sono migliaia di persone, purtroppo, che con i nuclei delle loro famiglie di sangue, con il codazzo di cugini e di compari costituiscono un significativo gruppo. A queste migliaia di persone bisogna aggiungere per avere unidea del fenomeno e della sua ampiezza tutti coloro che, con i mafiosi, vivono di traffici illeciti e di malaffare. Le cifre salgono. E non basta. A questo vero e proprio segmento sociale che magari è travagliato da guerre intestine, ma è sempre e comunque contro lo Stato occorre poi sommare i componenti dellalone grigio che circonda ogni realtà mafiosa: incensurati che per viltà, interesse, incultura spesso si schierano con i criminali, oppure praticano unesiziale equidistanza, né con la legge né con i fuorilegge.
La società civile, in Calabria ed in tutte le altre zone storicamente tormentate dalle mafie, può e deve fare di più, schierandosi sempre e comunque con la legge, senza cedimenti, senza cecità e amnesie.
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