La prima battaglia di El Alamein: eroi, sangue e sabbia

Quando il 1° luglio del 1942 le forze dell'Asse, guidate dal generale Rommel, attaccarono gli inglesi ad El Alamein, una vittoria in Egitto era a portata di mano per i tedeschi e gli italiani che nella campagna d'Africa non si risparmiarono mai

La prima battaglia di El Alamein: eroi, sangue e sabbia
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C'è stato in tempo in Egitto in cui le forze italo-tedesche condotte dal generale Erwin Rommel, la leggendaria “Volpe del deserto”, e dal generale di corpo d'armata Enea Navarini, furono a un passo dall'avere la meglio sull’8ª Armata britannica, allora comandata dal generale Claude Auchinleck, cui sarebbe succeduto il più noto vincitore della campagna d'Africa, il generale Bernard Law Montgomery. Per i suoi, "Monty".

Quello fu il tempo della Prima battaglia di El Alamein, durante la quale l'offensiva sferrata contro le linee inglesi apparì prossima al successo per le panzer-divisioni dell'Afrika Korps tedesca e per le divisioni del nostro XXI Corpo d'armata. Questo anche grazie alle infiltrazioni attuate dall'Abwehr, l'intelligence tedesca che aveva lanciato una seria azione di spionaggio come l'Operazione Salaam attraverso il conte Almásy, per conoscere il territorio nemico al confine con la Libia italiana.

Nessuna vittoria a El Alamein

Quando il 1° luglio del 1942 il generale Rommel ordinò l'attacco nel settore di El Alamein - centro costiero che costituiva il culmine settentrionale del corridoio di circa 60 km di larghezza delimitato a sud dalla depressione di Qattara, ostacolo impenetrabile ai mezzi militari e di complesso attraversamento gli uomini appiedati - il fuoco dell'artiglieria campale guidato dai temibili pezzi da 88mm tedeschi scatenò l'inferno sulle linee difensive britanniche. Lasciando che le unità corazzate, composte dai panzer II e III, dai carri armati italiani M13/40 e dai mitici semoventi da 75/18 delle divisioni Ariete, Littorio e Trieste, piombassero sui difensori con la fanteria in appoggio. Nonostante la potenza dell'attacco, la linea degli inglesi non cedette. Seppure rimase pesantemente indebolita.

Fu così che, quando il giorno seguente il comandante britannico ordinò il contrattacco nel pieno centro delle linee tenute dalle truppe dell'Asse, e i "topi del deserto" dell'8ª Armata, con i loro larghi pantaloni corti corti color kaki e le loro scodelle brodie in testa, si lanciarono in corsa, baionette innestate, assieme ai carri Valentine e Matilda e alle veloci autoblindo corazzate del tipo Humber, da entrambe le parti non poterono far altro che riscontrare il fallimento della controffesiva.

Lasciando il fronte in balia di una lunga "condizione di stallo". Segnata da attacchi e contrattacchi che nella reciproca campagna di logoramento, e totale assenza di un confronto decisivo, indussero tutti quanti alla convinzione che sebbene la battaglia di El Alamein non fosse stata vinta, poteva non essere di certo già perduta.

Solo il primo capitolo di una storia nota

Lungo la linea del fuoco di El Alamein, dove gli uomini si misurarono nell'infernale clima del deserto, versando a turno sulla sabbia bollente il sangue dell'avversario, un contrattacco dopo l'altro, atti d'eroismo e coraggio si registrarono per mesi, giorno dopo giorno su un fronte lungo 65 chilometri. L'ultimo attacco degli inglesi alle nostre linee, in quella che verrà definita la prima battaglia di El Alamein, venne sferrato tra il 26 e il 27 luglio; risolvendosi in nuovo insuccesso per i britannici e per gli australiani, che tuttavia, come sappiamo, avranno la meglio della Seconda battaglia di El Alamein. Conclusasi il 4 novembre 1942 con la totale sconfitta delle armate dell'Asse. Ma questo è un altro triste capitolo di una storia.

A "Quota 33", assieme ai leoni della Folgore, riposano tutti i caduti delle divisioni che presero parte a questi cruenti scontri. I fanti della Pavia, Brescia e Bologna; i guastatori e i bersaglieri, i pochi fanti di marina della San Marco e i carristi eredi diretti delle unità di Cavalleria del Regio Esercito.

Per loro, come per gli eroi che si immolarono nei mesi successivi, fino alla disfatta finale che avrà esiti definitivi sui destini del conflitto, la scritta del sacrario militare di El Alamein ricorda a colui che passa il massimo sacrificio con una suggestione perpetua: "Qui una voce si leva possente e ammonisce a mai disperare nei destini d'Italia".

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