Nell'estate del 1966 Moshe Dayan si recò in Vietnam come osservatore del "laboratorio militare" dell'epoca per apprendere cosa stava cambiando nella guerra moderna. Lezioni preziose che avrebbe sfruttato, appena un anno dopo, da ministro della Difesa fresco di nomina nella Guerra dei Sei Giorni. Numerose allora furono le critiche alla strategia americana nella guerra di logoramento che finiranno per abbandonare, e favorevoli quelle rivolte alla guerriglia protratta dei Vietcong; gruppo armato che si oppose in un combattimento asimmetrico paragonabile alla guerriglia urbana opposta da Hamas nella Striscia di Gaza.
Addestrato personalmente da Orde Wingate, il leggendario ufficiale britannico che formò il corpo dei Chindit nella Birmania, attraverso le sue tattiche di "anti-insurrezione" Moshe Dayan preservò i primi kibbutz e gli insediamenti ebraici dagli attacchi nelle Rivolte arabe del 1936-39, consolidando la sua reputazione di esperto militare e stratega per aver guidato lo Stato Ebraico nell'attacco al Sinai del 1956 e nella schiacciante vittoria della Guerra dei Sei Giorni del 1967. Molto lo apprese sul campo, in Vietnam, dove seguì gli americani dalla metà di luglio alla fine di agosto del 1966. "Volevo vedere di persona, sul posto, com'era la guerra moderna, come venivano maneggiate le nuove armi, come si formavano in azione, se potevano essere adottate per il nostro impiego", scriverà nelle sue memorie.
Dayan in prima linea
Allora 51enne ministro nell'agricoltura, in "guerra" dall'età di 14 anni come giovane membro dell'Haganah, ferito in azione da un cecchino che lo colpì a un occhio sinistro durante la campagna di Siria combattuta contro i francesi di Vichy, Dayan voleva apprendere quanto ci fosse da apprendere dall'Esercito statunitense, che nel 1966 aveva mobilitato per volere del presidente Lyndon Johnson 276mila uomini in una guerra che per gli americani poteva "..durare a lungo", avvertiva Johnson, ma nella quale gli Stati Uniti dovevano "andare avanti finché i comunisti nel Vietnam del Nord" non fossero resi conto che "il prezzo dell’aggressione era troppo alto", e che che non sarebbe stata "accettata una soluzione pacifica o messo fine ai loro combattimenti. Per quanto tempo ci volesse…”; e dai loro temibili nemici: i guerriglieri vietnamiti sostenuti dall'Unione Sovietica e della Cina comunista.
Analisi di una "follia" tra Indocina e Pentagono
Stimato per aver condotto al successo l'assalto alla penisola del Sinai nella guerra del 1956, da appassionato studioso delle "cose", prima e durante il suo viaggio di osservazione Dayan consultò tra Parigi, Londra, Washington e Hanoi i generali francesi che avevano combattuto la guerra in Indocina, prodromo della crisi in Estremo oriente, le personalità vicine al generale Giap, che aveva sconfitto i francesi a Dien Bien Phu, gli analisti del Pentagono e i falchi di guerra delle amministrazioni Kennedy e Johnson come il segretario alla Difesa statunitense Robert McNamara, ma anche e il generale britannico Sir Bernard Montgomery, vincitore della Seconda guerra mondiale che bollò come "folle" la strategia degli americani in Vietnam.
Gli americani “videro la chiave della vittoria nello spezzare lo spirito combattivo di Hanoi... continuando i pesanti bombardamenti del Vietnam del Nord e spazzando via le unità vietcong nel sud”. McNamara e gli altri “credevano che se questa attività militare americana fosse stata mantenuta e rafforzata, Ho Chi Minh non sarebbe stata in grado di resistere a lungo”, annotava Dayan. Ma attraverso il sentiero di Ho Chi Minh, che per certi versi potrebbe essere paragonato alla "terra di nessuno" attraverso cui sono transitate per anni le armi iraniane destinate ai proxies regionali, i Vietcong sono riusciti ad alimentare una guerra contro un avversario che vantava una potenza di fuoco, di mezzi e rifornimenti ineguagliabile. Logorandone lo spirito nell'inutile tentativo di stanare i guerriglieri vietnamiti per combattere una "battaglia decisiva" che non è mai stata raggiunta.
La capacità degli americani, per quanto la loro intelligence fosse definita "carente", era indubbia secondo le analisi di Dayan: “Manca un piccolo dettaglio: nessuno sa esattamente dove siano le posizioni dei battaglioni Viet Cong. Le foto aeree e la ricognizione aerea non riescono a individuare gli accampamenti vietcong, trincerati, bunkerati e mimetizzati per fondersi con la vegetazione della giungla”; e ancora: "gli americani non stavano combattendo contro le infiltrazioni nel sud (Vietnam]) o contro la guerriglia, o contro… Ho Chi Minh, ma contro il mondo intero. Il loro vero obiettivo era mostrare a tutti – comprese Gran Bretagna, Francia e Unione Sovietica – il loro potere e la loro determinazione in modo da trasmettere questo messaggio: ovunque vadano gli americani, sono imbattibili”. Lasciamo al lettore la facoltà di fare le prime analogie con i conflitti in corso.
Una doppia lezione della storia
L'opinione di Moshe Dayan, che pattugliò il Delta su una motovedetta, stazionò su una portaerei in zona operazioni del Tonchino, si accompagnò alla cavalleria dell'aria, apprezzandone il brillante impiego degli elicotteri, e pattugliò la giungla con i Berretti verdi, era che quella guerra combattuta in forze contro un nemico sfuggente che prediligeva la guerriglia poteva risolversi "nella migliore delle ipotesi sarebbe finita in una situazione di stallo". Nelle cinque settimane trascorse in Vietnam, Dayan si è spesso domandato - riporta il saggista Marc Leepson - su "dove fossero i Viet Cong? E dove fosse la battaglia?". Oggi potremmo domandarci dove sono nascosti gli ultimi combattenti di Hamas, e dove e come si combatterà l'ultima battaglia di Rafah se l'operazione Iron Sword giungerà alla sua culminazione.
Per Dayan l'unica evenienza in cui i Vietcong avrebbero potuto sconfiggere gli americani si sarebbe verificata “per ragioni politiche (interne o straniere)… decidessero di porre fine alla guerra prima di ottenere la vittoria totale”. Un piccolo indizio che porta una riflessione acuta sull'attualità, sulle tutte manifestazioni in corso nel mondo, sulle pressioni dell'Onu e sul deterioramento dei rapporti con Washington. “Hanoi può rifiutarsi di sedersi al tavolo delle trattative”, scriveva Dayan. E ancora "I vietcong non possono scacciare gli americani, ma possono evitare di essere cacciati a loro volta. Possono negare la normalizzazione della vita nel sud”.
Deluso dall'incapacità degli americani di "pacificare" e riuscire a "reinsediare" la popolazione vietnamita nei villaggi che sorgevano accanto agli avamposti militari, il controverso militare di carriera israeliano che non ha mai nascosto il suo fanatismo per la difesa a tutti i costi dello Stato Ebraico ma allo stesso tempo opponeva la ferma volontà di non occupare permanentemente i territori di Gaza e Cisgiordania, concluderà i suoi diari con pensieri e disfattisti. Nutrendo sfiducia per i programmi di reinsediamento nei villaggi toccati dalla guerra: "Non credo che gli americani possano portare la pacificazione in Vietnam (...) La creazione della pace, della vita quotidiana, può solo servire ai Viet Cong con obiettivi terroristici e argomenti propagandistici contro l’egemonia americana in Vietnam”. Quasi un monito per il presente e per il futuro, se contestualizzato oggi nel cuore del Medio Oriente.
Leggere le riflessioni di uno dei grandi eroi delle guerre d'affermazione israeliane resta sempre esercizio interessante, ancor più nell'analisi dell'attuale conflitto a Gaza e nelle risoluzioni che verranno applicate in futuro lungo la Striscia. Chissà come commenterebbe le operazioni militari di oggi Dayan; cosa avrebbe da dire riguardo le decisioni prese dal Gabinetto di guerra presieduto dal vituperato Benjamin Netanyahu, o riguardo le reazioni dell'amministrazione Biden nel nuovo complesso capitolo della questione mediorientale.
Sarebbe indulgente o meno con gli israeliani di oggi? La democrazia armata che secondo molti può vincere la guerra, ma non troverà una soluzione semplice e definitiva per il popolo palestinese, fagocitato dalla vendetta di Hamas, e per i territori della Striscia. Ora nuovamente occupata dall'IDF, le Forze di Difesa Israeliane che proprio lui ha contribuito a fondare e formare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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