Un monomotore ad ala alta dal profilo svelto, delicato come la cicogna da cui prende di fatto il nome, nell'idioma germanico, spicca il volo dall'altopiano di Campo Imperatore, sito a quota 2.100 metri. Deve abbandonare in gran fretta, nonostante sia gravato di un eccessivo e imprevisto peso, una struttura alberghiera che è stata improvvisata prigione per "l'uomo più pericoloso d'Italia" all'indomani dell'Armistizio: il deposto Duce degli italiani, Benito Mussolini. È il 12 settembre del 1943, e nel piccolo aeroplano della Luftwaffe, un Fieseler Fi 156 "Storch", oltre al pilota e l'obiettivo della missione, a pesare è un oscuro e ingombrante ufficiale delle SS, l'obersturmführer Otto Skorzeny, futuro comandante dei commando branburghersi che gli faranno invece guadagnare la reputazione di "l'uomo più pericoloso d'Europa".
Quel giorno, il giorno dell'Operazione Quercia, Skorzeny è più un garante politico che un commandos. Un ufficiale di collegamento che agisce per conto del Servizio d'intelligence nazista, lo Sicherheitsdienst, o SD, mandato ad affiancare i veri "incursori" preparatisi per un combattimento che non ci sarà. Si tratta dei paracadutisti del 2° Fallschirmjäger-Division agli ordini di uno stimato veterano dei raid in Danimarca e Norvegia e della battaglia di Creta, il generaloberst Kurt Student, e del vero pianificatore dello spettacolare raid sul Gran Sasso, il maggiore Harald-Otto Mors.
Una questione delicata
Dopo l'arresto ordinato il 25 luglio 1943, Benito Mussolini, principale alleato di Adolf Hitler nel conflitto che vede gli Alleati anglo-americani in un irreversibile vantaggio strategico nel Mediterraneo e nell'Atlantico, dopo aver vinto la campagna del Nord Africa e aver stabilito le prime teste di ponte in Italia con l'operazione Husky, venne condotto in varie località segrete, dall'isola Ponza all'isola della Maddalena, per essere in fine trasferito in un albergo di montagna completamente isolato, nel pianoro di Campo Imperatore, in Abruzzo. La zona era raggiungibile solo a piedi o tramite funivia. Il duce deposto controllato a vista da una guarnigione di carabinieri e poliziotti.
Hitler era infuriato, ma l'Abwehr il servizio segreto tedesco, ottiene le informazioni legate agli spostamenti del prigioniero che poteva anche cadere in mano agli Alleati e rivelare informazioni d'importanza vitale per la Germania nazista. La questione è delicata e viene discussa a Berlino fino all'ordine del Führer: il duce doveva essere liberato e l'Italia doveva rimanere fedele alla Germania nonostante la decisione del Re e l'annuncio della resa incondizionata delle forze italiane agli Alleati che avrebbe esposto il Maresciallo Badoglio dopo l'armistizio a lungo contrattato dal generali Giuseppe Castellano con gli emissari americani che si avvalevano delle reti clandestine di Oss e Soe per "filtrare" ogni passo in tal senso. Reti che avevano al loro interno agenti doppi del Sim, il Servizio Informazioni Militare preso tra "due fuochi" e dell'Ovra, la polizia segreta di Mussolini.
L'ordine del Führer: "Liberare Mussolini"
L'operazione per liberare Mussolini dalla sua prigione alla pendici del Gran Sasso doveva essere lanciata il prima possibile e doveva essere a prova d'errore secondo i vertici di Berlino che avevano assistito all'ira di Hitler. I paracadutisti esperti in missioni di combattimento dietro le linee erano perfetti per effettuare un raid sulle montagne dell'Abruzzo. Ma fu l'intuizione di uno stretto collaboratore di Skorzeny, il sottufficiale tedesco delle ss Karl Radl a fare la differenza: coinvolgere il generale del Corpo degli agenti di polizia Fernando Soleti per avere una chance di successo. La presenza di un simile ufficiale avrebbe evitato che l’Operazione Quercia, già complicata a livello logistico, si consumasse in uno spargimento di sangue che poteva anche prevedere la morte dell'obiettivo ultimo della missione: Mussolini.
Prelevato dalle ss nel suo ufficio al Viminale, il generale Soleti venne condotto presso la base aerea di Pratica di Mare dove il commando stava preparando gli alianti con i quali avrebbe raggiunto Campo Imperatore. Dopo essere stato interrogato e disarmato. Venne imbarcato su uno dei 12 alianti Dfs 230.
Un raid pianificato quasi fino all'ultimo dettaglio
Alle 14:00 del 12 settembre, mentre una colonna muove alle pendici della montagna per interdire un eventuale intervento dell'Esercito italiano, il commando di paracadutisti tedeschi scende sugli alianti che uno alla volta posano la loro possente pancia sul pianoro di Campo Imperatore che in estate è ricoperto di erba rigogliosa. Le linee di comunicazione con l'hotel sono state interrotte, la funivia viene posta sotto il controllo dei tedeschi, e Skorzeny, che fa il diavolo a quattro per essere il primo ad annunciare al duce che gli alleati germanici sono venuti a salvarlo, piomba nell'albergo con l'uniforme da fallschirmjäger tipica degli assaltatori di Creta.
L'incursione durerà in tutto solo 12 minuti. Vengono sparati pochi colpi. Il duce è stato liberato e verrà portato al sicuro sul piccolo Storch condotto dal pilota personale del generale Student che non riuscirà ad impedire a Skorzeny di salire a bordo come passeggero non contemplato. Una piccola prepotenza che metterà a repentaglio il successo della missione ma consacrerà la sua carriera. Mentre l'aereo si stacca da terrà e scompare tra le cime lievemente innevate con un piccolo ronzio che si fa sempre più distante, e i paracadutisti tedeschi salutano assieme ai poliziotti italiani come se fosse appena "partito un vecchio conoscente". Il maggiore Mors telegrafa al generale Student che "la missione è compiuta.
Il duce è partito". Atterrerà poco dopo a Pratica di Mare. Di lì verrà imbarcato per il Nord e poi per la Germania per continuare la guerra a fianco del suo autoritario liberatore.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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