Ad Aleppo si continua a combattere. E con i combattimenti continuano le violenze indiscriminate sui civili. Compresi i recenti attacchi in cui, denuncia Medici Senza Frontiere, potrebbero essere stati utilizzati agenti chimici contro la popolazione, forse ad opera dell’Isis. La città è divisa in due, con la parte centro-ovest in mano alle truppe governative e i quartieri ad est controllati dalla cosiddetta opposizione armata. Molti sono scappati. Quelli che restano, circa 5 milioni di abitanti, sono costretti a convivere con l’ormai cronica assenza di acqua ed elettricità. Ma, tra la popolazione stremata, c’è ancora chi non si rassegna e vuole continuare a vivere una vita, per quanto possibile, normale. Chi non vuole rinunciare ai propri sogni e guarda ancora al futuro con speranza.
Tra questi ci sono gli studenti cristiani che abitano nella residenza universitaria del vicariato cattolico di Aleppo: 18 ragazze e 15 ragazzi che, nonostante la guerra, hanno scelto di rimanere nella città per portare a termine i propri studi. Hanno tutti dai 18 ai 24 anni e provengono da famiglie modeste, residenti perlopiù nei villaggi della provincia.Fanno parte di quei 40.000 studenti che prima della guerra affollavano la città universitaria di Aleppo, il polo accademico più importante di tutta la Siria, frequentata non solo da siriani, ma meta di studenti provenienti da tutto il Medio Oriente. Ora la città universitaria è stata trasformata in un centro per rifugiati e gli appartamenti dove prima vivevano le matricole, oggi ospitano le famiglie sfollate. Ma le facoltà rimangono aperte. “Le lezioni e gli esami continuano, anche nei periodi di forti scontri, e questo è ammirevole” racconta suor Maria Nazareth, della Famiglia Religiosa del Verbo Incarnato, che gestisce la parte femminile della residenza universitaria. Le sue ragazze le descrive come “giovani animate da una grande tenacia, da una straordinaria fiducia nel futuro e dal rispetto per i propri genitori, che fanno sforzi incredibili per sostenerle economicamente negli studi”. Continuare a studiare, con la guerra fuori dalla porta di casa, significa poter conservare dei rari momenti di normalità in una vita sconvolta dal conflitto. Per questo, ogni esame è particolarmente importante. Perché vuol dire che la vita continua. Lo testimonia la religiosa: “una volta al Nusra aveva annunciato un attacco a pochi isolati dalla nostra residenza e assieme alle ragazze dovevamo scappare portando con noi lo stretto indispensabile. Una di loro ha preso con sé soltanto gli appunti per studiare, pensando che se la sua vita fosse continuata, il giorno seguente avrebbe dovuto sostenere un esame”.
Alla residenza del vicariato si studia per almeno due ore al giorno, alla luce di una lampada alimentata con un generatore a benzina. “Lo abbiamo comprato con i soldi dei benefattori per garantire alle studentesse l’orario minimo di studio, visto che l’elettricità manca per intere settimane”, spiega suor Nazareth. “Qui cerchiamo di vivere come una famiglia, anche perché passiamo insieme tutto l’anno e le ragazze vedono i genitori di rado, perché le strade per tornare ai propri villaggi sono impraticabili o molto pericolose”, continua, “con la nostra missione proviamo, inoltre, ad offrire ai ragazzi dei momenti conviviali e quegli spazi per stare insieme che la guerra ha cancellato dalla città”. Aleppo, infatti, racconta la suora, “era una città vivace e piena di vita notturna. La chiamavano la città dove non tramonta mai il sole”. Ora invece la luce non c’è più, nemmeno nelle case. E per le ragazze è pericoloso andare in giro per la città. “I giovani sono spesso obiettivo dei cecchini: come Sima, una ragazza di 19 anni, capitano di una squadra di basket, che è morta così, tornando a casa dopo una partita, colpita al cuore da un proiettile”, racconta suor Nazareth. “Le ragazze cristiane prima erano libere perché lo Stato era secolare”, spiega la religiosa, “mentre ora il pensiero più frequente tra loro è quello di immaginarsi la propria vita in uno Stato fondamentalista dove potrebbe essere applicata la Sharia”. Quest’anno, nonostante il conflitto in corso, cinque ragazze si sono laureate. Ma il loro futuro rimane incerto. Al futuro, del resto, gli studenti di Aleppo ci pensano spesso. E lo vorrebbero, nonostante tutto, in Siria. Perché, ci dice suor Maria Nazareth, “amano il proprio Paese e le proprie famiglie, e non vogliono lasciarle”. Nonostante questo però molti saranno costretti ad abbandonare Aleppo appena conclusa l’università: per tutti i ragazzi, infatti, è obbligatorio entrare nell’esercito al termine dei corsi. Così, in tanti se ne andranno. “Lo faranno con sofferenza” ci dice la suora, vittime di questa guerra e dello spettro del fondamentalismo.
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