Stupri/1 Io, garantista anche con i violenti

Siamo al punto che deplorare il tentato linciaggio dei romeni di Guidonia viene visto come una complicità morale nei loro confronti. Lo stesso se osi dire che i domiciliari concessi al 22enne di Roma, stupratore reo confesso, erano probabilmente inevitabili e, oso dire, addirittura giustificabili. Figurarsi se in questo clima hai l’ardire di notare che le foto degli ammanettati, pubblicate sui giornali, per una volta non hanno scandalizzato nessuno.
È improbabile che gli stupri siano aumentati rispetto a un mese fa, eppure i giornali ne ridondano; così pure è improbabile che gli incidenti sul lavoro siano diminuiti, eppure i giornali tacciono. Questo, da una parte, è normale e pure positivo o inevitabile: un caso eclatante funge da volano ed ecco che un tema riesplode ciclicamente, ridiviene «emergenza», come se d’un tratto vi fossero solo stupri o morti sul lavoro; se tra un mese scoppiasse il caso di uno stupratore condannato ingiustamente, magari un tizio famoso, facilmente non si parlerebbe d’altro: e tanti altri casi di malagiustizia, come tanti ce ne sono, otterrebbero gran dignità di pubblicazione e dibattito. Il che, voglio ripetere, è perfettamente normale e anche positivo: purché la ciclazione dei temi non denoti omissioni e soprattutto corrisponda proporzionalmente a problemi reali, come quelli della sicurezza e della repressione indubbiamente sono.
Quello che invece non è normale, e non è positivo, è che per cavalcare ogni ondata emergenziale si finisca coll’azzerare le conquiste della precedente. In questo, nel limitarsi ad assecondare gli umori popolari del momento, la nostra classe politica sta facendo sforzi da primato mondiale. Non c’è stato un cane disposto a ricordare che gli arresti domiciliari sono sì domiciliari, ma restano arresti, restano una privazione della libertà personale volta a tutelare le indagini, non sono una condanna, non sono la pena inflitta, non sono un preview del castigo che verrà (se verrà) perché corrispondono meramente a stare in galera in casa propria, ciò che in qualche caso può risultare anche peggiore della carcerazione propriamente detta: dipende dal regime dei controlli, dalle dimensioni del domicilio, soprattutto dalle restrizioni imposte in appartamenti che di fatto possono essere celle, con la sola differenza che manca l’ora d’aria e ovviamente non si può telefonare o ricevere visite.
Ma questo discorso può sembrare fuorviante. Il punto vero è che stiamo parlando di custodia cautelare, ma anche qui: ci fosse un cane di politico, a parte i soliti radicali, disposto a ricordare la cantilena più ricordata e dimenticata d’Italia, questa: la custodia cautelare in carcere è solo uno strumento a uso dei magistrati per impedire, in attesa di un processo, che l’indagato possa fuggire o inquinare le prove o ricommettere il reato. Questi pericoli nel caso dei romeni di Guidonia erano palesi (inspiegabili, dunque, le scarcerazioni) ma nel caso del ragazzo 22enne il discorso è tutto un altro. Si è costituito, ha confessato e ora aspetta il processo: non l’hanno «liberato», attende il dibattimento agli arresti domiciliari. Si potrebbe anche aggiungere che una giustizia che tratti un incensurato e reo-confesso alla stregua di cinque romeni che non hanno confessato alcunché, beh, è un apparato che stimola a non confessare per niente, visto che tanto poi ti trattano nello stesso modo. Ma questo è un ragionamento da profani: non è per questo che il 22enne ha ottenuto i domiciliari. Li ha ottenuti, in realtà, per via di una legge che spiacente, è davvero poco soggetta a interpretazioni: non c’è ispezione ministeriale che tenga. La norma dice che il carcere preventivo non andrebbe irrogato se l’indagato sarà probabilmente condannato a una pena che beneficerà della condizionale: e non lo dice una legge d’anteguerra, ma una legge del 1995 che la classe politica votò a larghissima maggioranza anche per difendersi dalle inchieste sulla corruzione. Molte procure del tempo, infatti, tendevano a utilizzare la carcerazione preventiva a margine di ipotesi di reato, anche lievi, per le quali nessuna condanna in ogni caso avrebbe comportato il carcere. Legge giusta, ma che ora vale per tutti. La vera notizia, infatti, è che c’è da supporre che la pena per lo stupratore 22enne difficilmente supererà la soglia dopo la quale la condizionale non viene più concessa, ossia i tre anni. Resta il fatto che i magistrati non fanno che applicare una legge voluta dalla stessa classe politica che ora se ne lamenta, e che ora, tuttavia, reclama delle pene esemplari non previste all’origine. Per non parlare di quelli che ora reclamano carcerazioni che fungano da «esempio»: come se fosse possibile, e come se non fosse dei peggiori regimi.
Tutte queste cose i nostri rappresentanti politici le sanno benissimo, ma ogni volta preferiscono lisciarvi il pelo dalla parte giusta.

E se anche vi andasse bene così, se la vostra indignazione fosse al limite, se non v’importasse nulla di quanto detto e tantomeno del tentato linciaggio di persone neppure processate, delle regole e della presunzione d’innocenza, di certe foto esposte sui giornali, nessun problema: vorrà dire che in quel momento non gliene importerà nulla neppure a loro. Sinché, beninteso, la cosa non li riguarderà. Allora ricorderanno. Vi spiegheranno e rispiegheranno: lo stato di diritto e tutto il resto. E forse sarà normale anche questo, non lo so, ma fa schifo uguale.

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