Sulle pensioni è solo commedia

È il ritorno della commedia dell’arte o forse, più propriamente è la vecchia arte della commedia. Non troviamo altra espressione per definire l’andata in scena dello scontro su pensioni e welfare tra la cosiddetta sinistra radicale e l’altrettanta cosiddetta area riformista della maggioranza di governo. Ognuno recita la sua parte con l’obiettivo di tenere gli animi in sospeso e di recuperare sia le frange estremiste dell’elettorato che quelle più moderate. Più la sinistra protesta, più Margherita e Ds sostengono la bontà dell’accordo tra governo e sindacati. Più la sinistra strepita, più i movimenti si sentono di nuovo rappresentati da essa. Più Fassino, Veltroni e Rutelli resistono, più sale l’apprezzamento del mondo imprenditoriale che saggiamente ricorda che l’ottimo è nemico del buono anche se in questo caso sarebbe meglio dire che non c’è mai fine al peggio. L’accordo siglato, infatti, presenta molti rischi, in particolare in termini di copertura finanziaria, ma ne evita altri. Insomma pressioni uguali e contrarie nella maggioranza del governo finiscono per garantire meglio di ogni altra cosa l’approvazione dell’accordo firmato. L’ultimo atto di questa commedia che presenta anche aspetti divertenti per la bravura teatrale di alcuni protagonisti è già scritto e ci sembra già di vederlo. I gruppi parlamentari della sinistra radicale nel corso della legge finanziaria (il più probabile treno legislativo cui agganciare l’accordo) presenteranno alcuni emendamenti che tenteranno di modificare nel profondo l’intesa siglata con una riduzione del risparmio previdenziale ed un aumento della spesa sociale. A quel punto o la commissione bilancio riterrà inammissibile gli emendamenti per mancanza di copertura (trovare risorse vere per operazioni di queste dimensioni non è facile) o nel merito il voto contrario di una larga parte della maggioranza di governo si salverà con quello dell’opposizione che certo non potrà avallare politiche lassiste visto che del rigore ha fatto giustamente la sua bandiera. In quel momento tutti avranno fatto la propria parte e tutti avranno la coscienza tranquilla. Verso se stessi e verso il proprio elettorato, un po’ meno verso il Paese. Nella politica è anche tollerabile una certa dose di tatticismo così come è sostenibile anche una parziale diversità tra partiti e governo. Sarà poi il dibattito e il voto parlamentare a decidere in concreto come è giusto che sia in una sana democrazia. Quel che ci appare meno tollerabile è la rappresentazione di una guerra campale tra le due anime della maggioranza scatenando, anche nelle parti sociali (vedi i dubbi amletici della Cgil) fratture e mobilitazioni che rischiano poi di prendere la mano agli apprendisti stregoni. La storia ci insegna che molte commedie, infatti, finiscono in tragedia. Ma ciò che più irrita in questo dibattito è che tutti si preoccupano di distribuire una ricchezza che non si produce visto che le previsioni di crescita della stessa maggioranza sono per il prossimo triennio intorno al 2 per cento annuo o giù di lì. Polemiche virtuali come quelle che abbiamo descritto hanno, però, una coda velenosa. Assorbono in uno scontro sostanzialmente finto ogni energia della maggioranza e della stessa opposizione distraendole dalle grandi questioni sul tappeto, dal crescente indebitamento delle famiglie raddoppiato negli ultimi quindici anni, all’incapacità di saldare finalmente il rilancio di una domanda pubblica e privata nel breve con una politica delle offerte nel medio e lungo periodo, condizioni necessarie per recuperare competitività e crescita.

È possibile chiudere in fretta il sipario su questa sorta di miseria e nobiltà della politica italiana? Ne dubitiamo anche perché i nostri telegiornali ogni sera ci trasmettono sull’argomento dichiarazioni roboanti e ripetitive dei protagonisti della commedia, mentre forse il rimedio vero sarebbe una settimana di silenzio stampa.
Geronimo

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