Un trionfo. Solo così si può descrivere il delirio con cui il pubblico ha accolto il Giulio Cesare in Egitto di Handel all'Opera di Roma, nella regia di Damiano Michieletto. E non c'è bisogno di essere esperti d'un genere tutto sommato elitario quale l' opera barocca, per comprenderne il perché. Ricco di arie magnifiche, ma sostanzialmente prive d'azione, il Giulio Cesare è l'ideale per il fervido intuito evocativo di Michieletto, che sfrutta invece di subire i numerosi «da capo» delle arie per interpretarli con acuta visualità psicologica.
Così niente piramidi né templi, nel suo Egitto: tutta l'azione è contenuta in una stanza bianca, la stanza della mente, che si aprirà, di volta in volta sulle memorie, i simboli, i sentimenti dei personaggi, grazie ad immagini di potente bellezza: tre parche che tessono un filo rosso, il filo del destino ma anche quello del sangue di cui è intrisa la vicenda, da cui sarà avviluppato il protagonista e, infine, tutta la scena; il velario di cellophane che sarà squarciato dai pugnali dei congiurati divenendo anche il sudario di Tolomeo; il fantasma di Pompeo, che fa piovere le proprie ceneri in scena e diverrà la statua che, secondo leggenda, assisterà muta all'assassinio del rivale.
Avvolto dalle magiche luci di Alessandro Carletti e dagli ipnotici movimenti coreografici di Thomas Wilehelm, il pubblico ha seguito con tensione crescente, stupefatto dalle prodezze virtuosistiche degli interpreti, tre star del canto barocco come i controtenori Raffaele Pe (Cesare), Aryen Nussbaum Cohen (Sesto) e Carlo Vistoli (Tolomeo), che diretti dal raffinatissimo Rinaldo Alessandrini, e sempre in perfetto equilibrio fra realismo e simbolismo, hanno dato corpo e commozione alla
malinconia struggente di Son nato a lagrimar, all'incantevole sensualità di V'adoro pupille, alla baldanza di Va' tacito e nascosto. Alla fine il pubblico ha applaudito come si applaude uno spettacolo semplicemente memorabile.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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