Il grande Eduardo De Filippo visto con gli occhi di un «ex» bambino di 11 anni: in arte, «Peppino Girella». Il suo vero nome è Giuseppe Fusco, professore di matematica in pensione, 71 anni portati con la disinvoltura di un giovanotto. Una bella e numerosa famiglia, una vita serena, piena di interessi, con la fortuna di affacciarsi ogni giorno sull'incanto della Costiera amalfitana.
Ma chi si nasconde dietro questo signore? Facciamo un salto indietro di quasi 60 anni, riesumando il calendario del 1963. All'epoca Giuseppe è uno «scugnizzo» di Positano, perfetto alter ego del personaggio protagonista di «Peppino Girella», lo «sceneggiato televisivo» prodotto dalla Rai che per 6 puntate inchiodò al piccolo schermo l'Italia in bianco e nero del post boom economico. Si narrava l'odissea di una famiglia di pescatori di Positano e del loro intraprendente figlio 11enne, Peppino, che li riscatta dalla povertà e dalle difficoltà dell'esistenza quotidiana nei bassifondi di Napoli.
Una trama tipica della narrativa eduardiana, tutta ripiegata nel vano tentativo di ricucire lo sfilacciamento dei brandelli sociali in un Mezzogiorno ancora depresso. Eduardo, dunque, attraverso la lente dei ricordi di un giovanissimo attore-prodigio, ora divenuto nonno di ben nove nipoti. Forse è questa l'unica prospettiva originale per non rischiare di cadere nel mare magnum del già detto.
Sul massimo interprete italiano della drammaturgia del '900 si è infatti scritto ogni cosa, vivisezionandone pregi e difetti. «Per me, un secondo padre. Mi voleva bene come un figlio - ci racconta Giuseppe -. Ho trascorso a casa sua momenti meravigliosi».
Ma anche Eduardo aveva i suoi difetti, le sue debolezze: perfino i monumenti sono fatti di pietra, e le pietre possono sbriciolarsi a colpi di rancori, come dimostra la storia dei rapporti tumultuosi di Eduardo col fratello Peppino. Sull'arte, i contrasti e le invidie dei De Filippo sono stati versati fiumi di inchiostro. Temi troppo impegnativi per dei ragazzini, testimoni di una contrapposizione (caratteriale e di metodo sulla «filosofia» teatrale) di cui non potevano afferrare il senso. Quei tre ragazzini, all'epoca in cui la «guerra» tra Eduardo e Peppino raggiunse l'acme, erano tre: Luca (l'unico figlio di Eduardo), Luigi (l'unico figlio di Peppino) e Giuseppe (il «figlio» televisivo di Eduardo nello sceneggiato Rai del 1963.
Luca (scomparso nel 2015) e Luigi (morto nel 2018) per decenni hanno portato in scena il meglio delle commedie paterne, mettendo pace a una vecchia contesa grazie alla sintesi fra tradizione e nuove frontiere interpretative. Vale a dire i due pilastri concettuali contro i quali si era consumata la rottura fra la comicità di matrice scarpettiana di Peppino e la drammaticità d'impronta pirandelliana di Eduardo.
Professor Fusco, nella disputa artistica tra Eduardo e Peppino, lei da che parte sta?
«Tanto Peppino quanto Eduardo sono stati dei giganti del palcoscenico. Ma Eduardo lo sento più vicino non solo perché ho avuto la fortuna di stargli accanto, ma anche per le tematiche affrontate nelle sue sceneggiature teatrali».
Testi che, spesso, hanno posto al centro la crisi della famiglia.
«E aveva ragione. Perché una famiglia sana è il nucleo fondamentale attorno al quale si sviluppa un sistema sociale virtuoso. Al contrario una famiglia malata può solo produrre frutti marci».
Ipocrisia, egoismo, prevaricazione, degrado morale, voglia di riscatto (il più delle volte frustrato dal fallimento) fanno da corollario a molti dei capolavori eduardiani.
«Le commedie di Eduardo sono sempre attraversate da un fiume carsico di pessimismo. Un fatalismo che però non chiude mai completamente alla speranza. La rinascita è una condizione difficile da raggiungere, ma non impossibile da conquistare. E in questa corsa affannosa, ecco tornare in campo il ruolo decisivo della famiglia».
La sua che famiglia è stata?
«Una famiglia poverissima. Mio padre faceva il carbonaio e mia madre andava a servizio nelle ville dei signori di Positano».
E tra questi «signori» c'era anche Eduardo.
«Sì, qui aveva una bellissima residenza estiva dove trascorreva le vacanze con la moglie Isabella Quarantotti».
Così iniziò il «sodalizio» tra Eduardo e il futuro «Peppino Girella».
«Io accompagnavo sempre mia madre quando lei andava a lavorare in casa dei signori. Eduardo e Isabella mi presero in simpatia. Quando uscivano in barca mi portavano con loro. Andavamo insieme al ristorante. Per me era una festa. Non ero abituato a tutto quel ben di Dio apparecchiato a tavola».
Nel 1963 cominciarono i provini per trovare il bambino-protagonista che avrebbe dovuto interpretare il figlio 11enne di Eduardo nello sceneggiato televisivo Rai «Peppino Girella».
«La commissione esaminatrice mi convocò tantissime volte. Non capivo mai se lo facevano perché non erano convinti di me o perché gli andavo bene. Alla fine, dopo uno snervante tira e molla, arrivò il responso: Il ruolo di Peppino Girella, il figlio di Eduardo, è tuo!».
Cosa convinse Eduardo a scegliere proprio lei?
«Forse il fatto che la trama dello sceneggiato ricalcasse esattamente la condizione della mia famiglia: un padre che si ammala e non può più lavorare; una madre che ha il peso della famiglia sulle spalle; un figlio-bambino che cerca di contribuire al bilancio economico rimboccandosi le maniche».
In pratica le vicende del «Peppino Girella» televisivo, con Eduardo nel ruolo del padre disoccupato, erano le medesime che il piccolo Giuseppe Fusco viveva nella realtà.
«Sì. Le scene che registravo sul set rappresentavano la quotidianità che affrontavo in casa».
Durante i sei mesi di ciak, fu ospite come «figlio adottato» nella casa romana di Eduardo. Tutti i giorni fianco a fianco del «Maestro».
«È una favola lunga e meravigliosa».
Ce la racconti.
«Dopo essere stato scelto per il ruolo di Peppino Girella, mio padre mi accompagnò a Roma per firmare il contratto con la Rai».
Sarà stata, certo, una cifra ingente.
«Mio padre era una persona semplice, impreparata a un appuntamento di questo tipo. Non ci fu alcuna trattativa e alla fine firmammo per la somma al ribasso che il funzionario Rai aveva già stabilito».
Vale a dire?
«Quindicimila lire al giorno. A mio padre sembrò una somma enorme, considerato che lui guadagnava facendo il carbonaio non più di 500 lire al giorno. Ma quando lo seppe Eduardo, scoppiò il putiferio».
In che senso?
«Ricordo bene la scena. Eravamo a pranzo e lui si arrabbiò moltissimo. Prese il telefono e chiamò il funzionario Rai, facendogli un partaccia».
Risultato?
«La paga giornaliera fu portata a sedicimilacinquecento lire».
Comunque insufficienti per mantenersi a proprie spese durante il lungo periodo di registrazione.
«Infatti fu per questo che Eduardo decise di tenermi con sé a casa, facendomi risparmiare i soldi di vitto e alloggio e provvedendo di tasca sua a ogni mia necessità».
Un'ospitalità formativa anche sul piano educativo.
«In quei sei mesi Eduardo è stato un padre austero, non avvezzo ai sentimentalismi, ma capace di un'affettività ricca di sostanza. Avvertivo che lui mi voleva bene come un figlio e questo mi faceva stare bene».
Ebbe però da lui anche una sonora sgridata.
«Più che Eduardo, la ramanzina me la fece sua moglie, Isabella».
Cosa fece di tanto grave?
«Una mattina mi alzai e decisi di fare una fuga in Piazza San Pietro. Ero rimasto affascinato dalle immagini del colonnato del Bernini e volli andare a visitarlo».
Lei aveva appena 11 anni, si fece accompagnare da qualcuno?
«No. La casa di Eduardo dove abitavo era in via Ximenes e il centro di Roma era lontanissimo. Presi una serie infinita di autobus chiedendo di volta in volta informazioni su come spostarmi. Alla fine arrivai a destinazione. Visitai anche la Basilica. E tornai indietro riprendendo gli stessi autobus. Quando arrivai a casa Eduardo e Isabella erano a tavola per pranzo. Aspettavano me. Il viaggio si era prolungato e io ero in netto ritardo».
Apriti cielo...
«Eduardo rimase in silenzio. Isabella me ne disse invece di tutti i colori. Una ramanzina che però mi è servita nella vita a diventare più responsabile».
«Peppino Girella» riscosse un successo di pubblico clamoroso. Com'è proseguita la sua carriera di attore?
«Subito dopo feci un provino per il film La Bibbia diretta da John Huston. La prova andò benissimo e Huston mi abbracciò urlando: Ho trovato il mio Beniamino! (uno dei figli del profeta Giacobbe, ndr)».
E poi come andò?
«Per problemi burocratici la produzione del film slittò di tre anni e, quando mi richiamarono, io ero sviluppato troppo. Insomma, non avevo più il fisico per quel ruolo da bimbo. E tutto finì lì».
Intanto però era diventato un barista vero. Lo stesso ruolo ricoperto in tv nei panni del baby-barman Peppino Girella.
«Sull'onda della popolarità riscossa grazie allo sceneggiato, al titolare del Bar Mulino Verde di Positano venne una brillante idea di marketing: ingaggiarmi come barista».
Affari d'oro per il Bar «Mulino Verde»?
«Non saprei. Di gente ne veniva a frotte, ma solo per farsi le fotografie con me. Casino tanto, consumazioni poche...».
Da barista del «Mulino Verde» a cameriere del rinomato Hotel «San Pietro».
«L'hotel che ospitava spesso Eduardo. E qui ci siamo rincontrati molte volte. Lui mi invitava sulla terrazza e chiacchieravamo. Mi diceva: Peppino, vedo che stai facendo tanti sacrifici. Perché non ti apri un locale tutto tuo? Se ti serve un aiuto, io sono qui...».
Ma lei aveva altri programmi. Studiare Matematica all'Università di Napoli.
«Continuavo a lavorare, ma nello stesso tempo facevo gli esami».
Fino alla laurea. Qui inizia il suo percorso da docente.
«Venticinque anni in cattedra. Ora mi godo la pensione».
Oltre al ricordo custodito nel cuore, che cosa conserva a casa di «tangibile» del «Maestro»?
«Una vecchia foto ingiallita di noi insieme sul set. Lui è chinato amorevolmente su di me, e mi dice qualcosa. Sarà stato certo un consiglio prezioso».
Stando per tanto tempo nella sua casa, chissà quanti personaggi famosi avrà conosciuto.
«Ho l'orgoglio di poter dire di essere stato abbracciato e baciato da Sophia Loren e di aver ascoltato dal vivo le canzoni che Domenico Modugno usava far sentire in anteprima ad Eduardo».
Altri vip che l'hanno coccolata?
«Gli attori del cast mi riempivano di regali. Ma erano prodighi anche di raccomandazioni. Una volta incrociai Delia Scala che mi disse: Peppino, non sai la fortuna che hai a vivere accanto a un genio».
Quando si è pienamente reso conto di questa «fortuna».
«Col passare degli anni ho fatto mio un processo di coscientizzazione».
Cosa intende
per «coscientizzazione»?«L'aver preso atto di aver vissuto per sei mesi accanto a una persona eccezionale. Per questo quando Eduardo è morto il dolore è stato terribile. Come quello che si prova perdendo un padre».
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