Sacerdoti sgozzati e cellule jihadiste: il Daghestan è la bestia nera di Putin

Vladimir Putin ha più volte dovuto fare i conti con il Daghestan: una regione tana di gruppi islamisti e confinante con la Cecenia

Sacerdoti sgozzati e cellule jihadiste: il Daghestan è la bestia nera di Putin
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Attentati terroristici, rivolte, violenze. Negli ultimi anni, nella Repubblica della Federazione russa a maggioranza musulmana del Daghestan è successo di tutto. L'ultimo episodio che sta preoccupando Vladimir Putin coincide con gli attacchi, improvvisi e coordinati, avvenuti in tre diverse città contro la polizia, le sinagoghe e le chiese ortodosse. Il bilancio parla di almeno 15 agenti di polizia e diversi civili uccisi. In passato il capo del Cremlino ha più volte dovuto fare i conti con questa regione tana di gruppi islamisti e confinante con la Cecenia. Lo scorso aprile, ad esempio, il servizio di sicurezza russo FSB aveva dichiarato di aver arrestato quattro persone in Daghestan sospettate di aver pianificato l'attacco mortale alla sala concerti Crocus City Hall di Mosca nel mese precedente, che era stato rivendicato dal gruppo Stato islamico. A ottobre erano invece andati in scena disordini anti israeliani all'aeroporto di Makhachkala, dove centinaia di persone si erano scagliate contro l’arrivo di un volo proveniente da Israele, in un assalto placato a fatica dalle autorità locali. I riflettori di Putin sono adesso puntati sulla sua "bestia nera" nel tentativo di risolvere, una volta per tutte, il problema alla radice.

Il ritorno del terrorismo: cosa succede nel Daghestan

L'ultima vicenda di sangue ha coinvolto le città di Derbent, Makhachkala e Sergokala. Dopo ore di spari tra polizia e terroristici, con tanto di caccia all'uomo, la situazione sarebbe sotto controllo e le indagini puntano all'identificazione di tutti coloro che fanno parte delle "cellule dormienti" del terrorismo locale.

Il primo attacco è avvenuto a Derbent, dove un gruppo di uomini armati ha sparato in una sinagoga e una chiesa, provocando un incendio nei due edifici religiosi. Quasi contemporaneamente è stata attaccata una postazione della polizia stradale a Makhachkala e un terzo attacco ha colpito un'auto dalla polizia a Sergokala.

Il dipartimento del comitato investigativo del Daghestan ha aperto un procedimento penale per "attacco terroristico". Il Comitato nazionale antiterrorismo ha riferito della neutralizzazione di cinque militanti: due a Derbent e tre a Makhachkala, ma Melikov ha invece ritoccato a 6 il numero dei terroristi uccisi.

Secondo RIA Novosti è stato arrestato il capo del distretto di Sergokalinsky in Daghestan, Magomed Omarov, i cui figli sono fra i sospettati perchè potrebbero essere coinvolti negli attacchi terroristici. "Sappiamo chi si nasconde dietro questi attentati terroristici e quale obiettivo perseguono", ha scritto Melikov, riferendosi alla guerra in Ucraina. Il patriarca Kirill, capo della Chiesa ortodossa russa e fervente sostenitore del Cremlino, ha affermato che il "nemico" sta cercando di distruggere la "pace interreligiosa" in Russia, senza nominare chi ne sia il responsabile. Ieri era la domenica di Pentecoste per la Chiesa ortodossa russa.

La "bestia nera" di Putin

Poche ore fa le Forze armate russe hanno spiegato di aver un'operazione antiterrorismo condotta nella regione uccidendo diverse persone. "Dopo la neutralizzazione delle minacce alla vita e alla salute dei cittadini, è stato deciso di concludere l'operazione antiterrorismo in Daghestan", ha affermato in una nota il Comitato nazionale antiterrorismo.

Il Daghestan è tuttavia un vecchio problema irrisolto per Putin. Alcune tra le principali sfide alla stabilità interna russa arrivano infatti proprio da qui. O meglio: dai membri appartenenti ai gruppi radicali islamici che minacciano stragi e attentati. Come accaduto a Mosca a primavera, e come avvenuto ieri. La minaccia rappresentata dal Daghestan non è insomma una storia recente: i terroristi locali hanno viaggiato per unirsi all'Isis in Siria mentre nel 2015 il gruppo dello Stato islamico aveva dichiarato di aver stabilito un "franchising" nel Caucaso settentrionale.

Come detto, circa l'80% della popolazione locale è di religione musulmana. Andando a ritroso nel tempo, tra gli anni Novanta e il Duemila la regione fu scossa, in parte, dall'insurrezione separatista avvenuta in Cecenia. Nel 2017 la polizia russa aveva dichiarato di aver smantellato alcune organizzazioni coinvolte nei disordini regionali.

Per Putin sembrava che il rebus fosse risolto. Così non sarebbe stato. Ancora oggi il presidente russo deve capire come venire a capo di una situazione estremamente delicata. L'ombra del terrorismo, intanto, continua a minacciare Mosca.

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