Da Tino Scotti ai fratelli Vanzina: tutti quei "cumenda" tra cinema e tv

L'industriale degli insaccati o il mobiliere di Lissone: l'immagine del ricco brianzolo è ancora legata agli anni del boom

Da Tino Scotti ai fratelli Vanzina: tutti quei "cumenda" tra cinema e tv

Quella del «cumenda» è una maschera cinematografica, anche se, spesso, del commendatore per meriti di soldi e affari resta inespressa l'esatta provenienza geografica, a metà strada tra Milano e la Brianza. Nel «Vedovo» di Dino Risi (1959), satira sugli anni del boom economico, «cumenda» è anche il romano Alberto Sordi, che però è tale solo per il matrimonio con la ricca milanese Elvira (Franca Valeri), la quale, appropriatamente, lo chiama di solito «cretinetti».

Il primo vero cumenda ad honorem (ad honorem perché in molti film viene presentato come «cavaliere») è Tino Scotti, attore milanese protagonista delle scene tra gli Anni 30 e gli anni 60 del secolo scorso. Di lui rimane un'espressione proverbiale spesso attribuita alla categoria: «Ghe pensi mi».

In anni più recenti i «cumenda» sono sopratutto quelli dei film dei fratelli Vanzina. Il più famoso, Guido Nicheli, soprannome Dogui, fece da pendolare tra grande schermo e la tv: nei «Ragazzi della Terza C», interpretava il Commendator Zampetti, ricco industriale degli insaccati. Nicheli è rimasto così incollato al personaggio che la sua biografia apparsa nel 2018 (lui è morto nel 2007) si intitolava «See you later. Una vita da cumenda». Più distaccato e meno sanguigno era l'altro «commendatore» di quegli anni: Ugo Bologna, attore «serio», doppiatore, oltre che mega-direttore Conte Corrado Maria Lobbiam in alcuni film di Fantozzi e Fracchia.

Meno nobile e più terra terra, ma altrettanto

danaroso, il mobiliere interpretato da Massimo Boldi («vieni zu a trovarmi a Lizzone»), personaggio nato al Derby di Milano, poi approdato al cinema e in tv. Piaccia o meno, per un certo periodo è stato l'immagine della Brianza.

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