Unoccasione da non perdere per visitare la splendida Galleria Spada potrebbe essere il restauro della grande tela del Guercino raffigurante La morte di Didone, effettuato grazie alla fondazione CittàItalia, che, come ha precisato il suo presidente Alain Elkann, vuole sensibilizzare i cittadini ad occuparsi del patrimonio artistico italiano. Gli interventi conservativi sul capolavoro del grande maestro bolognese del Seicento sono stati pagati con il ricavato della serata di beneficenza che si è svolta a palazzo Spada lo scorso 27 settembre, durante la quale sono state battute allasta le opere pittoriche e scultoree di 30 artisti, donate alla fondazione e precedentemente esposte nelle sale della stessa galleria.
Il restauro si era reso necessario per lo stato di salute particolarmente delicato dellopera, il cui colore non poggia più sulla tela originale, avendo subito nell800 unoperazione di trasporto su un nuovo supporto. Oltretutto il dipinto è stato eseguito su una preparazione di argilla che risente dellumidità dellaria e necessita perciò di un intervento periodico per verificare ladesione del colore alla tela. Il quadro, di grandi dimensioni (m 2,87 x 3,85), raffigura Didone in punto di morte, scoperta dalla sorella Anna sulla pira preparata per bruciare le armi e i ricordi di Enea, in una scena movimentata dal forte impatto emotivo. Sembra lultimo atto di una rappresentazione teatrale, ispirata ai versi dellEneide, ma con un linguaggio barocco. Il tema venne suggerito al Guercino dal cardinale Bernardino Spada, per impressionare la regina Madre di Francia Maria de Medici. La regina, infatti, aveva contattato il cardinale, già nunzio apostolico a Parigi, perché gli mandasse Guido Reni per affrescare le sale della Galleria del Lussemburgo con le imprese del defunto marito Enrico IV. Ma il Reni rifiutò di trasferirsi nella capitale francese e allora lo Spada propose un altro artista bolognese, il Guercino, che, non essendo conosciuto in Francia, eseguì come dimostrazione della sua capacità Didone morente.
Il dipinto, ultimato alla fine del 1631, non arrivò mai a Parigi, perché Maria de Medici dovette abbandonare la Francia per motivi politici, e fu così che il cardinale trasferì il quadro da Bologna a Roma, acquistandolo per la sua quadreria.
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