La tradizione nata con San Francesco

RavennaGesù non nasce più a Ravenna. La città romagnola, orgogliosa delle proprie tradizioni repubblicane, stavolta pare essere andata oltre. Fino a lambire l’integralismo laicista: il presepe è stato bandito in 17 asili su 22. E i primi a stupirsene sono proprio gli islamici.
È stato un sondaggio del quotidiano La Voce di Romagna a svelare la sorprendente realtà. Dei 22 asili presi in esame, undici sono comunali, cinque convenzionati e altri sei privati. Solo il 23 per cento ha deciso di seguire la tradizione e ha allestito la sacra capannuccia. Il restante 77 ha preferito optare per un rassicurante albero di Natale. Meglio le luci colorate di pastorelli e re magi.
La motivazione delle educatrici è quasi sempre la stessa: «Non facciamo il presepe per non urtare la sensibilità dei bimbi stranieri». Che non sono pochi nelle strutture cittadine. Una piccola invasione che qualche settimana fa, nel dibattito sull’adozione del nuovo regolamento degli asili, ha portato l’opposizione di centrodestra a invocare liste separate per italiani e immigrati. Di fronte al multiculturalismo che avanza, le educatrici degli asili hanno scelto l’arrendevolezza: «Il presepe? Ma scherza? Questo è un ambiente misto», hanno risposto le responsabili dell’asilo comunale Garibaldi. Curioso il destino del nuovissimo polo scolastico Lama sud, inaugurato lo scorso 12 ottobre con una contestazione di dubbio gusto al ministro Mariastella Gelmini: due mesi fa alcuni bimbi furono fatti sfilare con cartelli di protesta al collo. Adesso gli ometti anti-riforma saranno svezzati con qualche testo sindacale, dal momento che non hanno tempo da perdere con il presepe: anche qui non si fa.
Eppure dal Comune il sindaco Fabrizio Matteucci (Pd) fa sapere che «non c’è nessuna indicazione da parte dell’amministrazione. Chi negli asili vuol fare il presepe, lo fa. Da noi non sono partiti né ordini, né consigli».
A restare sbalordito è perfino Mustapha Toumi, segretario del Centro di cultura e studi islamici della Romagna (anche se lui preferisce essere definito «mediatore culturale»): «I bambini devono sapere, conoscere per crescere in amore e fratellanza - afferma Toumi, da sempre in prima linea per la costruzione della moschea cittadina -. La natività è il simbolo che spiega la venuta al mondo di Gesù, profeta amato dal popolo musulmano». Quanto alla presunta offensività del presepe, Toumi non ha dubbi: «È un falso problema. Il presepe non urta nessuno. I mediatori culturali esistono anche per questo. Per spiegare la storia e i simboli».
Comprensibilmente sconsolato don Alberto Graziani, vicario generale della diocesi: «Non credo che il presepe possa essere visto come una potenziale mancanza di rispetto nei confronti del bambino straniero - commenta il religioso -. Credo piuttosto che questa sia la scusa ufficiale con la quale si giustifica la lenta erosione della tradizione cristiana. Questa tendenza a insabbiare simboli mi mette un po’ d’amarezza».
Don Graziani conclude la sua riflessione con un augurio: «Spero che nelle loro case i genitori di questi bambini possano rimediare alle scelte compiute da chi ha poca prospettiva».

Un appello che pare essere stato raccolto e rilanciato in grande stile dal centro culturale Pier Giorgio Frassati e da Comunione e Liberazione che per questo pomeriggio hanno organizzato un presepe vivente tra i mosaici della basilica bizantina di San Vitale, simbolo della città. Basterà a recuperare il senso del sacro a Ravenna?

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