"12mila miliardi di risparmi con la transizione": lo studio rivoluzionario di Oxford

Una ricerca di Oxford parla della transizione energetica e dei risparmi che può garantire al 2050, stimandoli in 12mila miliardi di dollari su scala globale

"12mila miliardi di risparmi con la transizione": lo studio rivoluzionario di Oxford

La transizione energetica costerà, ma ancora più grandi potrebbero essere i suoi dividendi globali: ad affermarlo l'Università di Oxford, tra le più prestigiose del pianeta, in un recente studio pubblicato lo scorso 13 settembre sulla rivista Joule.

Lo studio Empirically grounded technology forecasts and the energy transition prova per la prima volta a mettere dei numeri precisi su costi e ricavi della transizione stimando più scenari da qui al 2050 che combinano riflessioni sui mix energetici e produttivi, dinamiche inflattive, scenari generali di crescita dell'economia globale. La mole di dati analizzata è stata colossale e studia praticamente dalle origini delle tecnologie più moderne gli scenari di riferimento della partiita energetica: incorpora l'evoluzione di quarantacinque anni di costi dell'energia solare, trentasette sull'eolico e venticinque per batterie e fuel cell.

La situazione che ne emerge incorpora ovviamente anche le dinamiche connesse all'innovazione tecnologica e delinea un quadro interessante, in cui emerge che un aumento del 55% dell'utilizzo delle energie rinnovabili basterebbe infatti per far dimenticare quasi del tutto l'utilizzo di petrolio, carbone e gas. Ma non solo: si inseguirebbe una situazione di crescente efficienza economica a tutto campo. "Le rinnovabili sono più economiche" rispetto ai combustibili fossili, secondo Doyne Farmer, economista di Oxford e coautore dello studio. I loro costi di gestione sono "in calo da decenni" e, accelerando sulla transizione ecologica, si potrebbe portare a pieno regime e piena maturità i mercati.

Lo scenario di "Transizione veloce" dello studio mostra un futuro realistico possibile per un sistema energetico privo di fossili entro il 2050, fornendo il 55% in più di servizi energetici a livello globale rispetto ad oggi aumentando il solare, l'eolico, le batterie, i veicoli elettrici e i combustibili puliti come l'idrogeno verde (prodotto da elettricità rinnovabile).

L'autore principale, il dottor Rupert Way, ricercatore post-dottorato presso la Smith School of Enterprise and the Environment di Oxford, ha sottolineato commentando con i media dell'ateneo che "i modelli passati, prevedendo costi elevati per la transizione verso l'energia a zero emissioni di carbonio, hanno scoraggiato le aziende dall'investire e reso i governi nervosi nel definire politiche che accelereranno la riduzione della dipendenza dai combustibili fossili. Ma i costi dell'energia pulita sono diminuiti drasticamente nell'ultimo decennio, molto più velocemente di quanto i modelli si aspettassero" e ora in prospettiva sono destinati a scendere in picchiata. "La nostra ultima ricerca", aggiunge Way, "mostra che l'aumento delle tecnologie verdi chiave continuerà a ridurre i costi e più velocemente andremo, più risparmieremo. Accelerare la transizione verso le energie rinnovabili è ora la scommessa migliore non solo per il pianeta, ma anche per i costi energetici".

In sostanza emerge un quadro di maturità tecnologica decisamente maggiore. E che confuterebbe un dato spesso addotto da chi è contrario alla transizione: l'idea secondo cui i costi sarebbero superiori ai benefici. Per i ricercatori, è infatti probabile che la "Transizione Veloce" sia molto più conveniente sia del rifiuto della transizione che di un processo lento a tutti i tassi di sconto ragionevoli ipotizzati per il futuro. E anche se il costo del denaro si mantenesse da qui al 2050 al livello medio più alto ipotizzato del 5%, il risparmio previsto dallo studio è di circa 5mila miliardi di dollari.

Il modello risulta oltremodo interessante se a ciò aggiungiamo il fatto che per omogeneità e semplificazione gli autori si sono concentrati solo su eolico, solare e accumulatori, tralasciando tutte le altre tecnologie meno sviluppate o più difficili da quantificare nel loro impatto. La cogenerazione di calore, l'energia da biomasse, l'energia marina, l'energia solare termica e l'energia geotermica sono state omesse a causa di dati storici insufficienti o perché non hanno mostrato miglioramenti significativi dei costi storici. "Sono stati esclusi", si legge nel paper, "anche i biocarburanti liquidi perché qualsiasi ampliamento significativo comporterebbe elevati costi ambientali" e anche l'avveniristica tecnologia di cattura e stoccaggio del carbonio (Ccs) su cui ad esempio il piano Usa di Joe Biden punta molto per aprire la strada alla transizione capace di usare le risorse fossili come ponte è stata omessa perché "attualmente è un settore molto piccolo e a bassa crescita" e "non ha mostrato miglioramenti promettenti in termini di costi", anche se in futuro non si esclude che nella transizione "potrebbe esserci ovviamente qualche ruolo per la CCS nelle applicazioni non energetiche".

La somma di questi scenari e tecnologie può chiaramente contribuire ulteriormente al miglioramento del dividendo della transizione. Che si conferma processo su cui conviene puntare investendo risorse economiche, tecnologiche e, ovviamente, politiche per accelerarla e portarla al successo.

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