Collegato in videoconferenza con l’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo, Giovanni Brusca depone nel processo a carico del generale Mario Mori, ex comandante del Ros dei carabinieri, e del colonnello Mauro Obinu, accusati di favoreggiamento aggravato di Cosa Nostra in relazione alla mancata cattura di Bernardo Provenzano. E rivela particolari importanti, ricostruendo ancora una volta di fronte alla Corte il periodo compreso tra il 23 maggio e il 19 luglio 1992.
"In diverse circostanze in quel periodo incontrai Riina - ha detto Brusca - e mi disse che lo Stato se l’era fatta sotto e mi fece intendere dell’esistenza della trattativa".
Il pentito ha inoltre detto che seppe del "papello" durante un incontro avvenuto a casa del boss Guddo nel periodo compreso tra le stragi di Capaci e via D’Amelio. Ad informare Brusca dell’esistenza di una presunta trattativa tra lo Stato e la mafia fu proprio il numero uno di Cosa Nostra Totò Riina.
"Totò Riina mi parlò della trattativa con lo Stato dopo la strage di Capaci e prima della strage di via D’Amelio".
L’ex boss era già stato ascoltato sulla trattativa, ma non era riuscito a collocare la data dell’incontro con Riina. Brusca, che aveva già testimoniato al dibattimento, ha chiesto di tornare in aula per chiarire alcuni particolari della sua testimonianza e, però, ha anche inserito nuovi argomenti tra i quali, appunto, quello della mancata strage del ’94. Il collaboratore ha specificato che anche il capo mafia latitante Matteo Messina Denaro GLi parlò di un progetto di vendetta nei confronti dei carabinieri senza, però, fare riferimento all’attentato all’Olimpico.
"Dopo l’audizione del 18 maggio sono tornato in cella e ho ricordato come sono andati i fatti. Incontrai Riina a casa di Girolamo Guddo e lì, dopo esserci appartati per una decina di minuti, mi disse: "finalmente si sono fatti sotto, gli ho consegnato il "papello" con le richieste scritte (allo Stato ndr). In quella occasione me ne parlò per la prima volta. Sempre allora si vantava del fatto che erano stati mobilitati anche i servizi segreti anche se non era così".
E ha proseguito: "Ricordo adesso che l’incontro con Riina avvenne prima del 16 luglio quando andai a casa di Salvatore Biondino, il suo autista, per chiedere una cortesia. In quell’occasione Biondino mi disse: "siamo sotto lavoro" e tre giorni dopo (dopo la strage di via D’Amelio ndr), capii di che cosa si trattava".
"Io non avevo saputo nulla dell’attentato allo stadio Olimpico di Roma che la mafia voleva organizzare fino a quando Gaspare Spatuzza non mi disse che era in preparazione una vendetta contro i carabinierì. Non so il motivo. Non ricordo altro".
Brusca ha sostenuto di aver saputo sempre da Spatuzza che l’autobomba era stata preparata per causare un alto numero di vittime, e imbottita di bulloni e pezzi di ferro che con l’esplosione sarebbero stati sparati come proiettili nel raggio di decine di metri. Il pentito non ha specificato quando ha ricevuto queste confidenze da Spatuzza, anche se ha puntualizzato che fu sicuramente dopo il 1994 perché dell’attacco all’Olimpico non aveva alcuna conoscenza.
L’autobomba, una Lancia Thema, era stata effettivamente collocata allo stadio, ma non scoppiò per un difetto del telecomando che avrebbe dovuto innescare la deflagrazione. Nel corso della deposizione del pentito, durate oltre due ore e mezzo, diverse contraddizioni sono state rilevate dalla difesa di Mori e Obinu e dagli stessi giudici.
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