Bolzano - Quando l’altro giorno, discretamente, è salito sino a Bolzano l’hanno riconosciuto in molti. Difficile che in una città di provincia passi inosservata la presenza, anche solo il volto, di Biagio Agnes, ex presidente di Stet e figura chiave delle partecipazioni statali negli anni del Caf di Bettino Craxi. Presenza confermata dall’andirivieni di auto blu di fronte agli uffici della Procura, dalle bocche cucite dei magistrati, dalle uscite dagli ingressi sotterranei per evitare sguardi indiscreti, soprattutto dei giornalisti. Poi è toccato al potente Michele Tedeschi, ex presidente dell’Iri, di Stet e di Siemens, indicato come vicino a Prodi. Figura chiave per comprendere i passaggi che portarono il 12 maggio del 1994 alla firma del memorandum con i tedeschi di Siemens per la cessione di fatto di Italtel. Infine, ecco il terzo testimone, un ex boiardo come Salvatore Randi, numero uno di Italtel negli anni della fusione con Siemens.
Insomma tre figure che, seppur dalla Procura non venga alcuna conferma, è facile ricollegare alle indagini per corruzione e riciclaggio che vede impegnato il Pm Guido Rispoli. E infatti i tre sono stati sentiti come testimoni dai magistrati per chiarire passaggio dopo passaggio chi e perché all’interno dell’Iri diede il via libera alla cessione del gioiello delle telecomunicazioni nazionale a Siemens in un’operazione finanziaria costellata da tangenti. Questo stando almeno a quanto finora ricostruito dalla Procura di Bolzano che ha individuato due bonifici da dieci miliardi ciascuno partiti tra il 1993 e il 1997 dai fondi neri di Siemens e arrivati sia a Giuseppe Parrella, ex direttore della telefonia di Stato già condannato per tangenti e che sarebbe stata contattato dai tedeschi per chiudere l’operazione, sia a Goldman Sachs, la banca d’affari scelta come advisor.
All’inizio il nome di Romano Prodi è stato messo a verbale con qualche imbarazzo. Poi collegato indirettamente ai suoi fedelissimi che nel comitato esecutivo dell’Iri-Stet decidevano le sorti delle controllate da privatizzare. Infine sono arrivate le dichiarazioni rilevanti, soprattutto da parte di Agnes e Tedeschi. «A Romano Prodi veniva riferito ufficiosamente quanto stava avvenendo con Siemens per la cessione di Italtel. Ne era al corrente e diede il via libera per cedere l’azienda ai tedeschi». Agnes, Tedeschi e Randi, con sfumature ovviamente diverse hanno poi ricostruito la catena di comando nella gestione di operazioni come queste. A iniziare dal ruolo centrale del comitato esecutivo. Ma è di sicuro il nome di Prodi quello che più compare in questi tre verbali. Perché seppur non sia indagato, è bene precisare, dalla procura di Bolzano è un fatto che i manager dell’epoca di Italtel, Siemens e Iri gli ritaglino un ruolo ben diverso da quello del mero osservatore come ha sempre sostenuto palazzo Chigi rispondendo alle numerose interrogazioni parlamentari presentate sulla vicenda.
E infatti già qualche settimana fa tra gli investigatori sorprese la reazione di Prodi alle indiscrezioni pubblicate sui giornali. Non si capiva perché Prodi negasse qualsiasi interesse su questa vicenda, quando tutto faceva presupporre il contrario. Non solo i dati investigativi acquisiti. Come il carteggio di lettere sequestrato in Siemens tra dirigenti del gruppo e personaggi italiani a iniziare dallo stesso Prodi, destinatario di missive tra copia e bozze sequestrate. Ma anche testimoni come lo stesso Agnes che intervistato dal Giornale ricordava che in questa vicenda come nelle altre privatizzazioni Prodi ebbe un ruolo. Invece la tesi di Prodi che nulla sapeva e che venne informato solo, genericamente, con una sommaria relazione a conclusione della vicenda, si scontra oggi con testimonianze assunte di chi stava alle leve di comando.
Ricordi quindi che si contraddicono e sui quali a Bolzano si vuole capire chi e perché mente. Visto che il procuratore Tuno Tarfusser ritiene che «vi sono indicazioni che fondi di Siemens - dichiarò a Bloomberg nel novembre scorso - furono utilizzati per corrompere esponenti italiani. Guardiamo in particolar modo a casi che risalgono agli anni ’90 quando la maggior parte dell’industria italiana delle telecomunicazioni erano ancora di proprietà statale».
gianluigi.nuzzi@ilgiornale.it
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