È stata una vera e propria battaglia quella tra Uber e il sindaco di New York, Bill de Blasio. Per ora, la vittoria è dell'applicazione di servizi di trasporto automobilistico privato, che fa un po' ovunque nel mondo concorrenza ai più tradizionali taxi. La guerra però non si è ancora conclusa, né a New York né altrove: in diverse metropoli continuano a rimanere aperti contenziosi tra la start-up da 40 miliardi di dollari e le municipalità locali. In Italia il servizio più economico UberPop è stato bloccato dai giudici a giugno.
Il consiglio cittadino newyorchese avrebbe dovuto votare una legge per limitare temporaneamente - per i quattro mesi necessari al comune a portare a termine uno studio sul traffico - le licenze emesse alle società di auto a noleggio, come Uber. All'ultimo momento, però, la giunta ha ritirato la proposta e si è arrivati a un compromesso. In cambio della promessa da parte dei vertici di Uber di non «invadere» le strade della città, mantenendo fisso l'attuale tasso di crescita, il governo locale non imporrà alcun tetto.
Il contrasto tra Uber e l'amministrazione De Blasio si è fatto duro nelle scorse settimane. Il sindaco democratico ha accusato la società di San Francisco d'aver congestionato ancor di più il traffico newyorchese, rafforzando problemi di smog e parcheggio. Dal 2011, anno del lancio di Uber in città, il numero di automobili a noleggio - non si fermano con un gesto della mano in mezzo alla strada come i tradizionali taxi gialli ma si prenotano o attraverso un'app o con una telefonata - è cresciuto del 60 per cento, a 63mila veicoli, 20mila dei quali di Uber. I taxi gialli sono 13.600. Così, la municipalità ha deciso di condurre uno studio sull'impatto di questo fenomeno sul traffico locale, imponendo a Uber e simili un temporaneo tetto di crescita. Quanto basta per scatenare la furia della società che ha reagito con una campagna di comunicazione tutta politica, andando a colpire il sindaco proprio sul suo terreno. Le pubblicità di Uber sono arrivate su televisioni e radio locali - dopo il compromesso di mercoledì sono state ritirate - e per giorni, ha scritto il Wall Street Journal, «hanno attaccato le credenziali progressiste» del sindaco, accusandolo di non favorire nuovi posti di lavoro, di non sostenere, come promesso in campagna elettorale, le classi più povere, le minoranze, chi abita nei sobborghi, quella New York meno ricca che si era impegnato a rafforzare, lamentando l'esistenza di due città separate dall'ineguaglianza sociale. Uber ha persino aggiunto una funzione «De Blasio» sulla sua app per permettere ai clienti di sapere quanto avrebbero dovuto attendere un'automobile se il tetto proposto dal sindaco fosse stato votato dal consiglio cittadino. Ma c'è dell'altro: i vertici della start-up hanno accusato il sindaco di proteggere una categoria, quella dei tassisti, perché grande donatore della sua campagna. Il vice presidente per la strategia di Uber, quel David Plouffe manager della prima campagna di Barack Obama, ha colpito duro: «Tutto questo riguarda poco il traffico e molto le collaborazioni politiche», ha detto mentre De Blasio accusava la compagnia di pensare soltanto al proprio profitto, come un colosso aziendale qualsiasi, come Walmart, ha spiegato, catena di negozi al dettaglio.
L'esito della battaglia per il più vasto mercato di Uber - 2,5 milioni di passeggeri a New York dal 2011 - potrebbe indicare ora una tendenza in altre città dove si combatte già o si sta per combattere una
guerra sui trasporti nell'era della nuova economia. A Londra, per esempio, il sindaco conservatore Boris Johnson ha ventilato l'ipotesi di un simile tetto per arginare problemi di traffico e difendere i tradizionali black cab.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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