Unipol, quei consigli che imbarazzano D’Alema

Nella sentenza il ruolo dell’ex leader Ds. Bonsignore, avversario politico, si rivolse a lui. E Baffino riferì a Consorte

Unipol, quei consigli  che imbarazzano D’Alema

Il «protagonista assoluto», scrivono i giudici, fu Giovanni Consorte: e fin qui nessuna sorpresa, perché del ruolo dell’amministratore di Unipol nell’assalto del 2005 alla Banca nazionale del Lavoro sono pieni giornali e fascicoli giudiziari, e peraltro la condanna a tre anni e dieci mesi di carcere inflitta a Consorte il 31 ottobre indicava proprio come il promotore della scalata. E nemmeno è una sorpresa che - nelle motivazioni depositate ieri - si indichi senza indulgenze Antonio Fazio, già governatore della Banca d’Italia, condannato a tre anni e mezzo, come il «regista occulto».
Ma nelle 190 pagine della sentenza spiccano i passaggi dedicati a un personaggio che sul banco degli imputati non c’è finito. Si tratta di Massimo D’Alema, ex presidente del Consiglio e ex segretario dei Ds. Della scalata di Consorte aveva sempre sostenuto di essere stato spettatore quasi disinteressato. Invece almeno una domanda la sentenza costringe a porsela: perché mai un navigato politico di centrodestra come Vito Bonsignore, in ambasce perché non sa come comportarsi nell’impresa Bnl, va a farsi guidare da Massimo D’Alema? E perché D’Alema corre a riferirne a Consorte raccomandandosi alla fine, «noi non ci siamo sentititi»?
Vito Bonsignore - ricapitolano i giudici - entra nella vicenda in quanto intestatario formale di un pacchetto di azioni Bnl di proprietà di investitori argentini (anche se in un passaggio compaiono anche «due siciliani»). Bonsignore offre il suo pacchetto alla cordata di Consorte, ma vuole che la trattativa avvenga a Singapore, «è un’operazione - dice - da un miliardo di euro». Però poi si fa cogliere dai dubbi. E va a chiedere come deve comportarsi. Da chi va? Da Massimo D’Alema, allora presidente del partito dei Ds, che della scalata Unipol Bnl dirà poi di non avere saputo quasi nulla.
Ma di quell’incontro con Bonsignore, D’Alema si precipita a parlare con il suo amico Consorte, il «protagonista assoluto» della scalata. Si legge nella sentenza: «Il 14.7 ore 9,46, D’Alema telefona a Consorte e gli riferisce che è andato a trovarlo Bonsignore, in quanto voleva un consiglio se rimanere dentro o vendere tutto. Voleva sapere da D’Alema “se lui gli chiedeva di fare quello che Consorte gli aveva chiesto di fare perché voleva alcune altre cose, diciamo”. Gianni gli conferma: “Non era disinteressato”. Massimo: “A latere su un tavolo politico…ti volevo informare che io ho regolato la parte mia e lui ha detto che resta”. Consorte: “Gli ho detto: Se lei vuole uscire, noi onoreremo gli impegni subito, come facciamo con gli altri. Se lei rimane ci fa piacere”. Massimo: “Gianni, andiamo al sodo. Se vi serve resta” Gianni: “Sì sì esatto”. E poi D’Alema raccomanda: “Noi non ci siamo parlati”».
Il linguaggio è saggiamente criptico. Ma è sufficiente a capire che dello scontro su Bnl D’Alema è ben al corrente. L’utilizzo di questa intercettazioni venne impedito dal Parlamento europeo su richiesta dello stesso D’Alema.


Così alla fine a lasciarci le penne, è Consorte, condannato proprio per quella sua abitudine di raccontare tutto ai capi del suo partito: «nel corso di conversazioni telefoniche con l'on. Fassino e con il sen. Latorre, essendo in possesso di informazioni privilegiate comunicava informazioni price sensitive relative al tentativo di scalata».

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