Un uomo di teatro che fece della storia la propria opera

Il suo capolavoro rimane Il potere dei senza potere, del 1975

Un uomo di teatro che fece della storia la propria opera

La storia di Vaclav Havel ricorda per alcuni aspetti quella di Karol Wojtyla. Uomini di teatro, finirono per fare della Storia il luogo destinato della loro opera. Tutta l’opera drammaturgica di Havel sembra infatti precedere misteriosamente la biografia successiva, muovendo verso di essa. I testi haveliani, dall’iniziale adesione alla maniera del cosiddetti «scrittori dell’Assurdo» (definizione coniata da un critico alla fine degli anni Cinquanta e mai accettata dai protagonisti), si spostarono verso un linguaggio più diretto e introspettivo, con una rappresentazione sempre più realistica dei rapporti di potere che regolano l’intera società, soprattutto là dove essa debba far fronte agli anticorpi del Dissenso.
Havel fu sempre drammaturgo borderline, sempre in odore di dissenso. Il carcere non lo ammorbidì, anzi: fu proprio quell’esperienza a renderlo consapevole che la sola assurdità, per un intellettuale ceco tra gli anni Sessanta e Settanta, sarebbe stata ritirarsi in un impegno estetizzante. Del periodo post-prigionia ricordo Largo Desolato, dove un intellettuale dissidente attende da un momento all’altro l’arrivo della polizia ormai sulle sue tracce, ma intanto deve aprire la sua porta a diversi conoscenti, i quali - tutti - non fanno che ripetere, nel rapporto con lui, gli stessi schemi della polizia: insinuazione, sospetto, discredito. Quest’idea di un potere diffuso, di una polizia che si identifica con la società stessa e i suoi meccanismi, riporta curiosamente al lavoro che, in Francia, stava compiendo sul piano teorico un filosofo solo apparentemente distante da Havel: Michel Foucault. E se in un testo successivo, l’atto unico L’udienza, la scrittura di Havel si sposta su toni più esistenzialisti (un intellettuale dissidente impiegato in un birrificio ha una terribile, decisiva conversazione con il suo capo ubriacone), va rilevata una profonda unità tra queste opere più spiccatamente dissidenti e l’opera precedente, dove l’autore sembra preferire il gioco linguistico, come in Circolare, dove il potere della casta dominante dipende dalla conoscenza di una strana lingua artificiale, il ptydepe. Il potere non sta infatti solo nella capacità di impedire, vietare, disporre, ma anche nel modo di ordinare la lingua e il pensiero: il miglior modo per impedire di fare qualcosa è farne un’altra in sua vece. La creazione di una lingua esclusiva è uno strumento di oppressione.
Tutti gli aspetti del teatro di Havel, tuttavia, risulteranno perfettamente riuniti nel capolavoro dello scrittore e statista praghese, non testo drammaturgico ma pamphlet - ossia: dramma da recitare non più sulle tavole di un teatro ma dentro la società, da urlare nelle strade, da insegnare clandestinamente nelle università. Titolo: Il potere dei senza-potere (uscito nel 1975).
In questo testo straordinario il fondatore di Charta 77 descrive il sistema della menzogna nel mondo post-totalitario. Celeberrima rimane l’immagine del fruttivendolo che, come tutti, espone la scritta «Proletari di tutto il mondo, unitevi» non perché questa frase significhi ancora qualcosa (nessuno ci credeva più da tanto tempo) ma perché ancora fa funzionare il sistema del potere sociale in un Paese comunista. Il suo senso sta solo nel fatto di essere esposta, pena la perdita del lavoro.
E spero vivamente che questo grande testo possa tornare disponibile per tutti.

La sua lettura è più attuale che mai non solo perché quei meccanismi non sono certo finiti con la fine del comunismo, ma perché il grido di libertà che innalza ci ricorda che la persona umana non è un prodotto dello Stato o dei meccanismi sociali nei quali nasce e si muove, ma è qualcosa di più: quel di più che, una volta negato, rende vuoto e formale ogni appello alla libertà.

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