"Io, sacerdote prigioniero nel profondo dell'inferno". Quei crimini del comunismo albanese

"Dal profondo dell’inferno ho visto Gesù crocifisso", il libro di dom Simon Jubani che ricostruisce la pagina nera dell'ateismo di Stato di Enver Hoxha

"Io, sacerdote prigioniero nel profondo dell'inferno". Quei crimini del comunismo albanese

"Un’occasione per leggere tra le righe della storia i segni della presenza di Dio, che sa trarre del bene anche dal male peggiore commesso dagli uomini". Così monsignor Angelo Massafra, arcivescovo metropolita di Scutari-Pult, ha presentato la testimonianza di Dom Simon Jubani nella prefazione dell'autobiografico "Dal profondo dell’inferno ho visto Gesù crocifisso. Un sacerdote nelle prigioni comuniste albanesi" di recente proposto dalle Edizioni Cantagalli. Una lettura consigliata a quanti, anche in Italia, continuano ad avere un atteggiamento a dir poco indulgente nel giudizio storico sul comunismo, spesso limitandosi solamente a condannare il regime totalitario di Iosif Stalin in Urss. Ma i crimini rossi non sono stati una prerogativa dello stalinismo come dimostra la storia della vicina Albania negli anni di Enver Hoxha, artefice dell'ateismo di Stato.

La prima messa

Il 4 novembre 1990 è una data che resta nella storia dell'Albania ma della libertà religiosa in generale perché nel cimitero cattolico della città di Scutari venne celebrata la prima messa pubblica dopo decenni di persecuzioni. Fu proprio dom Simon Jubani a celebrare in latino con un messale sfuggito negli anni alle perquisizioni del regime. Nel libro, il sacerdote ricorda così quel momento storico:

"Pian piano la folla intorno all’altare diventava più numerosa perché continuavano ad arrivare altre persone nel cimitero per sistemare le tombe dei propri defunti nel mese a loro dedicato. Naturalmente c’erano soprattutto donne e bambini, poiché gli uomini temevano di perdere il posto di lavoro e con esso anche il pane quotidiano. Tuttavia, ne vedevo alcuni intorno a quell’altare dove si celebrava la prima Santa Messa, dopo ventiquattro anni di silenzio".

La cronaca attesta che a quella prima messa, celebrata nella cappella distrutta e bruciata dai comunisti del vecchio cimitero, tra croci divelte ed ossa sparse, assistettero anche fedeli musulmani ed ortodosso. Un primo segnale di riscossa spirituale nel Paese che dal 1967 si era dichiarato ateo per legge e nel quale erano state abolite tutte le leggi che regolavano i rapporti fra Stato e Chiesa.

Ventisei anni di carcere

L'Albania comunista, atea in Costituzione, proibiva persino di pronunciare il nome di Dio, cancellò le istituzioni religiose e mise in carcere i sacerdoti cattolici. Dom Simon Jubani fu uno di essi, tenuto in prigionia dal 1963 al 1989. Nel suo libro, il sacerdote spiega che "quel periodo della mia vita, il più logorante fisicamente, moralmente e mentalmente, al tempo stesso dimora oggi nella mia memoria come quello spiritualmente più felice poiché in quegli anni da incubo ho potuto sperimentare la forza della presenza di Cristo in me". Ordinato sacerdote nel 1957 nel bel mezzo della persecuzione, dom Jubani venne arrestato nel 1963 al termine di un periodo segnato da continue minacce dei comunisti per la sua determinazione a celebrare la messa. In seguito venne condannato ai lavori forzati in miniera. Privato persino di un materasso in cella, Jubani ricorda nel libro: "avevo piedi e mani legati, non avevo cibo, ma solo acqua da bere". La sorte della prigionia toccò anche a suo fratello don Lazër, torturato e infine avvelenato tramite alcuni pomodori nel 1982, anno in cui morì al termine di una lunga agonia.

Le torture

Don Jubani fu condannato ai lavori forzati come "avversario del comunismo serbo, russo e cinese, alleati". In carcere conobbe le torture peggiori, ma non smise di denunciare apertamente, anche in faccia a procuratori e secondini, i crimini del regime di Hoxha. Uomo di coraggio, anche durante gli interrogatori il sacerdote si faceva beffe dei suoi carcerieri, facendo il nome di Cristo quando gli si chiedeva con chi collaborasse. Il libro non tace tutte le tremende torture viste e subite nella prigionia comunista: denti cavati per impedire che ingoiasse la lingua e non potesse più confessare, i peli dei baffi strappati a forza con le pinze, frustate, isolamento nelle celle frigorifere, sigarette spente sulla carne e angherie in una cassa da morto. "Nei campi albanesi - scrive Jubani - si usava stringere le membra con dei ferri che penetravano nella carne fino a farla sanguinare, formando profonde piaghe che ben presto si trasformavano in cancrena". Il sacerdote, però, ha continuato la sua resistenza al regime, scrivendo lettere di fuoco a Hoxha e rispondendo colpo su colpo a procuratori e spie. Nonostante il dolore fisico, la forza della preghiera - racconta nel libro - ha fatto sì che non impazzisse: "In questi luoghi l’uomo poteva salvarsi solo con la grazia della preghiera, altrimenti non era capace di altro che di bestemmie", scrive.

La liberazione

Dopo la morte di Hoxha non finì l'epoca delle persecuzioni che continuò anche col suo successore Ramiz Alia, almeno fino al 1990. Nel 1989 dom Jubani fu liberato e risultò essere uno dei soli 27 sacerdoti sopravvissuti a quei decenni di calvario. La messa del 4 novembre 1990, di fronte ai militari inerti e ad una folla partecipe, segnò la ripresa della vita spirituale dell'Albania e diede il via libera anche alla comunità islamica per mettersi alle spalle gli anni di terrore antireligioso. Don Jubani, morto il 12 luglio 2011nella "sua" Scutari, non ha smesso di denunciare quanto la comunità cattolica albanese aveva dovuto subire negli anni dell'ateismo di Stato voluto dal comunista Hoxha.

Nel libro ha voluto scrivere queste parole a testimonianza della prevalenza della fede cristiana sul totalitarismo comunista: "La barca di san Pietro è sempre in mare aperto con le vele spiegate! Nessuna tragedia e farsa al mondo possono impedire la sua navigazione nelle acque eterne fino all’ultimo giudizio, perché Dio in persona è alla sua guida!".

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