Vedi Venezia e poi scatta. L'arte di Inge Morath

La grande fotografa austriaca iniziò la sua attività fra calli e ponti nel 1951. E poi conquistò il mondo

Vedi Venezia e poi scatta. L'arte di Inge Morath

Venezia. Inge Morath nacque cento anni fa e morì nel 2002: prima o poi qualcuno dovrebbe ricavare un biopic dalla sua esistenza, degna di una sceneggiatura hollywoodiana. Coccolata rampolla di una famiglia salisburghese, una di quelle in cui si parlavano almeno tre lingue, finisce per sposare Arthur Miller, conosciuto sul set de Gli spostati insieme alla di lui allora moglie Marilyn Monroe (sono di Morath le strepitose foto dell'attrice mentre balla a piedi scalzi in una pausa dal set). In mezzo, tra Austria e America, c'è la fotografia, ossessione di questa mitteleuropea capace di diventare, nonostante tutto e tutti, la prima donna fotografa dell'Agenzia Magnum Photos.

I suoi scatti sono ora in mostra al Museo di Palazzo Grimani di Venezia: «Inge Morath. Fotografare da Venezia in poi» (fino al 4 giugno), a cura di Kurt Kaindle e Brigitte Blüml con Valeria Finocchi, presenta una sezione inedita dei suoi lavori dedicata alla Serenissima. La troviamo nelle prime due sale dell'esposizione allestita al primo piano di un gioiello rinascimentale. Siamo nel 1955 e della Venezia che Inge Morath ci restituisce scorgiamo calli dove le donne si scambiano vettovaglie, ponti con uomini stanchi dal lavoro e bambini, tanti bambini, quelli che oggi a Venezia non vediamo più. Accanto a una piazza San Marco invasa dai piccioni, ci sono decine di scatti che ritraggono una città laboriosa e vivace, non il luna park per turisti che oggi ci appare in ogni stagione. La costruzione quasi surrealista di alcune foto, come quelle che si soffermano su dettagli, come delle scarpe abbandonate vicino a una fontanella, non sminuisce la sana verità veneziana che Inge Morath regala, un risultato raggiunto dopo aver divorato, come lei stessa ha detto, libri sulla città e dopo essersi davvero immersa nella laguna. «Il mio divertimento maggiore - ha raccontato - era quello di sedermi alla Scuola degli Schiavoni, tra le opere di Carpaccio, o passare il tempo in compagnia del Tiepolo. Era la fine del mondo». E in effetti ciò che vediamo nei suoi lavori veneziani (sono un'ottantina di foto finora inedite, dunque davvero preziose) è un universo che sta per cambiare per sempre: pochi anni appena e sarebbe arrivato il turismo di massa figlio del boom economico, Venezia sarebbe stata costretta a trasformarsi per sempre in una cartolina vivente.

Questa prima tappa veneziana della mostra al Museo di Palazzo Grimani non è solo suggestiva, ma significativa per capire gli esordi della carriera di Inge Morath. Lei che avrebbe fotografato tutti i più grandi, da Picasso ai divi di Hollywood, intraprese il mestiere quasi per caso e a causa di un contrattempo. Nel novembre del 1951 si trovava infatti a Venezia con Lionel Burch, in una sorta di viaggio di nozze: Morath all'epoca lavorava già a Londra per la Magnum ma solo come collaboratrice redazionale, attività di solito affidata alle donne (realizzava le didascalie, curava i servizi, traduceva). Le firme erano ben altre: Henri Cartier-Bresson, David Seymour, George Rodger, Robert Capa. E proprio a quest'ultimo Inge Morath si rivolse un giorno, durante il suo soggiorno veneziano, raccontandogli al telefono quanto la pioggia di novembre e quella luce metallica fossero una magia che avrebbe meritato di essere catturata. «Perché non mandate un fotografo qui?», chiese Morath a Capa, che le rispose: «Il fotografo c'è già: sei tu». Lei entrò allora in un negozio, comprò un rullino nuovo, chiese in prestito una macchina fotografica e cominciò a scattare: «Da allora non volevo più farne a meno», ha raccontato in seguito.

Le altre sezioni della mostra testimoniano quanto il suo talento, a pochi anni da quella prima prova, fosse stato apprezzato: arrivano i primi incarichi, tra cui gli scatti di Venezia del 1955 per la rivista L'Oeil, e poi i grandi reportage per la Magnum che la porteranno in Spagna, Iran, Francia, Inghilterra, Cina e Russia. Il racconto per immagini diventa la sua cifra stilistica: bravissima a imparare le lingue (mandarino incluso), non ruba le foto che scatta per strada. I suoi lavori sono figli di confronto e dialogo con i soggetti immortalati.

Lo si capisce nel centinaio di fotografie esposte in mostra, rappresentative di una carriera straordinaria, che evolverà nella serie dei fortunati ritratti ai grandi intellettuali e a personalità dello spettacolo della sua epoca. Una sola cosa Inge Morath si è sempre rifiutata di fotografare: la guerra. Studiosa, secchiona, persino pedante nel prepararsi prima di un servizio, ha scelto con ostinazione di celebrare sempre la vita.

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